La morte di Dolores O’ Riordan ha riportato alla memoria l’era in cui il vento d’Irlanda soffiava sul mondo della musica. Anni 80 e 90, quando quel vecchio brontolone di Van Morrison si guardò dietro accorgendosi che non era più solo. Molto merito l’ebbe un film assolutamente fenomenale, ‘The commitments’, di Alan Parker: squarcio su una Dublino proletaria ma sanguigna e creativa, dolcemente perdente. Una storia all’apparenza banale, un gruppo di giovani che fonda una band, ma narrata con passione e lungimiranza: nel cast c’erano Andrew Strong, voce poderosa, poi persosi in una infruttuosa carriera solista, Glen Hansard destinato a vincere l’Oscar per ‘Once’, mentre una particina venne riservata alla bella Andrea Corr, che in seguito vendette milioni di dischi con il gruppo famigliare, The Corrs. Quel film contribuì ad aprire sugli occhi su una scena, quella dublinese, ricca di talenti. Ma quello che è incredibile oggi è notare i tanti nomi di ieri e lo zero assoluto di oggi,se si eccettua gli imbolsiti U2 di cui si sa tutto, ma se andate a Dublino andate in pellegrinaggio ai loro primi studios, Windmill lane, e ammirate i graffiti dei fan. A quei tempi l’Irlanda era la culla del celtic rock, la solita formula cara ai giornalisti coniata per rendere mediaticamente accattivante un sound: unire le radici alla modernità. C’era chi all’inizio fu molto tradizionale e di successo, come i Chieftains di Paddy Moloney, straordinari e commoventi, e chi, come i Clannad ottennero grandi successi strizzando l’occhiolino al pop, il loro ‘Theme from Harry’s game’ del 1982 sbancò l’Inghilterra nonostante alcune parole in gaelico e in quel gruppo c’era inizialmente anche Enya, poi superstar delle classifiche con album fra ambient e new age, ma senza aver fatto mai un tour, il che lascia sempre qualche dubbio. La tradizione dell’isola di smeraldo era comunque sempre presente nelle canzoni, William Butler Yeats una fonte di ispirazione, cantata in ‘Now and in time to be’, bellissimo, poetico album del 1997, con tanti artisti locali e la voce recitante dell’attore Richard Harris e anche la raccolta ‘Common ground’ profuma di erica.
La musica era ovunque: le sorelle Black: Mary, più interessante, Frances un po’ più banale. La grande Sinead O’ Connor, viscerale prima di perdersi fra foto papesche strappate e folli deliri famigliari, nel 1990 fu numero uno in America con ‘Nothing compares to U’ di Prince. Anche lei oggi è irrimediabilmente persa, anzi, è un miracolo che sia ancora viva così come Mary Coughlan, un’ottima cantante smarritasi nel fondo di un bicchiere e fra continui ricoveri ospedalieri (si calcola più di 30), eppure il suo ‘Under the influence’ del 1987 era un buonissimo disco. E poi…ricordate un certo Bob Geldof? Con i suoi Boomtown rats si fece notare, eccome, prima di diventare mister Band Aid. Anche di lui si son perse le tracce…..Poi Thin Lizzy, Moving Hearts, The Dubliners..Hothouse flowers, i Waterboys, a dir la verità scozzesi, ma con sound che più irish non si può (alcuni dischi, come ‘The fisherman’s blues’ e ‘Room to roam’ sono indispensabili). E poi, naturalmente i Cranberries, anni 90: un paio di ottimi album prima di scivolare in una routine pop che ha visto il successo via via sfumare con probabile effetto depressivo per la povera Dolores. E oggi? In Irlanda la musica c’è sempre, Glen Hansard, esempio, è un buon cantautore, ma la magia di quegli anni è come stata spazzata via da quel vento che impedisce agli alberi di crescere alle isole Aran. Anche per questo grazie a Dolores che ce l’ha ricordata, per un attimo.
Andrea Degidi
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