Un fenicottero può avere 70 anni e volare ancora? Solo se il suo nome è Ian Anderson.  Settant’anni il 10 agosto, il despota dei Jethro Tull potrebbe svernare nel suo castello scozzese eppure è ancora in giro. Un martello, tour su tour, anche se dei Jethro Tull sopravvive solo il nome, ormai li ha epurati tutti quelli della band, uno a uno, buon ultimo, qualche anno fa, il fido chitarrista Martin ‘Lancelot’ Barre.  Eppure non molla: opportunismo od ossessione? Che rebus. E’ chiaro che incidere dischi nuovi non gli rende, il tour invece attira ancora, là fuori è pieno di fan vecchi, canuti, panciuti ma con un portafogli abbastanza gonfio ai quali puoi vendere cofanetti che poco aggiungono  o biglietti per l’ennesimo concerto. Ultimamente il leader ha cambiato la sigla: Jethro Tull by Ian Anderson, ma è solo apparenza, perché della band è sempre stato l’indiscusso padre padrone, fin dalla fine degli anni Sessanta. Il problema è il tempo che passa: dal 1969 a metà dagli anni Settanta  i Jethro Tull sono stati grandi e amati. Poi solo amati da quei fan che sono come l’ultimo dei giapponesi, imboscati nella giungla incuranti dei cambiamenti.  Facile dire quanto sia bello l’album ‘Aqualung’, ma anche ‘Benefit’, ‘Songs from the wood’, ‘Thick as a brick’,   poi ho amato tanto una canzone dei Jethro Tull, ‘Elegy’, da ‘Stormwatch’, di una raffinatezza struggente, uno strumentale delicato come un acquarello, ma attenzione, non scritta da Ian, ma dal tastierista David Palmer, che anni dopo cambiò sesso (è un’altra storia,  questa…). Con gli anni il suono, sempre ricamato sul flauto di Anderson, si è sviluppato, attorcigliandosi in una sorta di involuzione creativa: è passato da un folk-blues ad un rock più commerciale, non senza contestazioni. Quando  nel 1974 i Jethro Tull incisero ‘A passion play’ i fan non gradirono, e le cronache narrano di un concerto con dischi scaraventati ai piedi di uno Ian stupefatto, ma incapace di dire stop. Un anno fu colpito da una trombosi mentre era in tour, ovviamente, in Australia, e lui che fece? cantò su una sedia a rotelle.  Il vostro vecchio blogger ha visto il vecchio Ian quattro volte dal vivo: dal 1982 a oggi. Il primo concerto, a Bologna in un PalaDozza  stremato dalle cariche delle forze dell’ordine, di una bellezza  magnifica e  robusta, gli ultimi show come una bibita, van giù che è un piacere, ma è tutto mestiere d quando arriva, puntuale ‘Boureè’, vien sempre da ridere pensando a cosa ne penserebbe il derubato Bach. Due anni fa a Cesena il vecchio Ian aveva sul palco il cantante di supporto (sigh), un mese fa a Sogliano sul Rubicone il cantante di supporto appariva sul video (doppio sigh). Però se Ian Anderson tornasse domani in zona, farei cinquina, eh sì.