Li vedi arrivare insieme: ragazzi e signorotti stempiati e rotondi, e mettersi pazientemente in fila. Trentotto anni dopo gli inizi un concerto degli U2 ha il pregio di riunire due generazioni e popolare il Forum di Milano di un’umanità diversa ma ansiosa di partecipare a un rito laico com’è quello dello spettacolo di una delle più grandi band rock mai esistite. Quattro date, con centinaia di fan che hanno comprato biglietti per più di un concerto e con un tagliando in tasca anche per le date di novembre di Dublino, perché gli U2 contano su fan devoti fino alla follia, ed è questo il bello. C’è tutto un mondo al Forum, quello che adora a prescindere i quattro ragazzi irlandesi e quello che non ha perdonato loro la deriva pop ed è qui mendicando  pezzi vecchi. Sarà accontentato?

Quando alle 20.15 si spegnono le luci accompagnate da un boato da paura è il nuovo a prevalere. ‘The blackout’  dall’ultimo ‘Song of experience’ vede i 4 allineati un parco orizzontale incendiare subito la platea. Rock duro, con Larry Mullen Jr che pesta sui tamburi. Anche ‘Lights of home’ è sulla stessa linea. Ma quando poco dopo la chitarra di The Edge scaglia in cielo il riff iniziale di ‘I will follow’ la baraonda è già totale, il vecchio ritrova il nuovo, due pezzi del puzzle che combaciano, il sogno di tutti.

Il suono è massiccio, potente: il tempo avrà intaccato la creatitivà degli U2, ma non la loro potenza. The Edge è un tessitore impressionante di rock & melodia, una macchina da guerra, mentre Mullen jr e Clayton scandiscono i tempi con ritmi marziali. E Bono? Tutti lo aspettano al varco dopo il concerto annullato a Dublino e a lui tutto è perdonato, ma neanche il fan più sfegatato può negare i suoi problemi di voce. Però il suo carisma è ancora intatto, e già quello basterebbe a stregare il pubblico ammaliato da un eterno animale da palcoscenico. Figurarsi quando intona ‘Gloria’, hit di ‘October’, del 1981, un’altra scarica elettrica che scolpisce un memorabile inizio di concerto, Bono non la canta, la divora, con quell’inconsueto ritornello in latino urlato a gambe divaricate con il capo chino all’indietro. Poi gli U2 si concentrano su ‘Achtung baby’, meraviglia del 1991, album che riuscì in un’impresa incredibile: da quanto era bello fece quasi dimenticare i dischi precedenti, e non era un’impresa facile. Piombano sul Forum ‘Zoostation’, ‘Who’s gonna ride your wild horses’, con un Mullen jr scatenato, ‘Even better than the real thing’ e la rediviva ‘The fly’, mentre da ‘Zooropa’, sgorga una tenerissima ‘Stay’, in versione acustica.  E’ un altro momento vitale dello show, i frammenti dell’immortale capolavoro berlinese  luccicano nel buio del Forum, illuminati da  migliaia di smarthpone. Purtroppo ci sono troppi pezzi da album trascurabili, nulla sarà cantato da ‘The Joshua tree’, una scelta spietata  ma che può avere un suo senso:  appena nel 2017 gli U2 dedicarono un tour ai 30 anni  dell’album, ora preferiscono riaprire altri cassetti. E se cantano parecchie delle canzoni più recenti è anche per dimostrare che non sono un gruppo che vive solo di ricordi  ma credono in quello che fanno oggi, alla faccia dei critici.

Bono si prende le sue pause per rifiatare, saluta il pianista-compositore Michael Nyman, seduto fra il publico, e nei panni MacPhisto parla di rifugiati, scusandosi con l’Italia (“Vi abbiamo lasciati soli”) . Poi arrivano altre due gemme del passato: ‘Pride’ (‘In the name of love’) da ‘The  unforgettable fire’ (1984) e   ‘New year’s day’ a mettere d’accordo tutti, da ‘War’, del 1983, con quel riff pianistico di The Edge passato alla storia. Milano è definitivamente conquistata, e pazienza se ‘Where the streets have no name’ viene dimenticata a casa. I fan, vecchi e nuovi, piangono assieme cantando ‘One’. E si danno appuntamento per la prossima volta. Perché ci sarà una prossima volta. E noi ci saremo. I will follow.