Quando il tempo è cupo amo ascoltare musica a tema, diciamo così. Poi magari voi direte: bravo, così ti deprimi ancora di più e magari ti vien voglia di spararti…Ma no, è solo questione di sentirsi tutt’uno con il mondo che mi circonda in quel momento, ma magari è una mia patetica debolezza, lo ammetto. Comunque in giorni come questi, freddi e grigi amo  abbassare gli occhi e schiudere il cuore ai segreti dell’alveare. E’ così che sono entrato in uno spazio-tempo dove la nebbia non è fastidiosa, bensì dolce plaid rigenerante, ambient ideale per smarrirsi senza perdere la testa. Perché a guidarti ci pensa lui, la sua voce. David Sylvian. Di mister Japan ho scelto ‘The secrets of beehive’, i segreti dell’alveare, appunto. Senz’altro riconosco un maggior impatto nella sua prima opera solista, lo stupefacente ‘Brilliant trees’, ma in ‘The secrets of beehive’ risplende l’apogeo della sua maturità, tassello definitivo di un cervellotico, turbinoso mosaico di diecimila pezzi dove l’algida alba di techno-pop si avvolge nella coperta porpora di un tramonto romantico. Dal mascara di ‘Oil on canvas’ al sottile intimismo filtrato di una solarità attenuata il cammino è completato. Certo, i segreti dell’alveare non sono gli ultimi flash del gentleman inglese, che amava scattare polaroid. Altri album verranno. Ma non sarà più lo stesso. C’è un attimo, nella vita di un musicista, che va inesorabilmente fissato. Ricordato, perché più oltre non si potrà andare, e quell’istante va fotografato. E questo è quello giusto.

‘The secrets of beehive’ sboccia nel 1987, terzo atto della nuova vita dell’ex voce, anima e mente dei Japan. E’ un disco delicatissimo, rischia di rompersi fra le mani tant’è fragile. E sorprendente. Il cd precedente, ‘Gone to earth’, registrato col diabolico Robert Fripp, suona in tutt’altra maniera: elettronica a piene mani e la compagnia maliziosa della chitarra distorta del despota dei King Crimson. I segreti dell’alveare invece alzano il velo su un mare dove la tempesta si è placata. Non splende il sole. La foschia abbraccia tutto e sullo scoglio resta un uomo solo, con una chitarra in mano e mille storie da narrare: ‘Saldo su questa roccia mentre il vento soffia forte e scompiglia le mie vesti nutro sempre le stesse preoccupazioni. Le tentazioni di andarmene o di arrendermi allo spettro che combatto affrontando a viso aperto la vita che si sposta fra oscurità e penombra. Lotto con le parole per paura che loro sentano, ma Orfeo dorme riverso, ancora morto per il mondo’. La voce gentilmente triste di Sylvian scivola via fra le pieghe di ‘Orpheus’, ballata languida, baciata da una risacca dolce.

E’ un disco di altri tempi, tutto chitarra acustica, voce e tastiere, affidate a Ryuichi Sakamoto. Il bello è che le melodie, crepuscolari, sognanti, a volte si accoppiano a testi abbondanti di spigoli. Nella soave ‘When the poets dreamed of angels’, canta ‘lei si alza presto, corre allo specchio, i lividi causati da momenti di rabbia. Lui le si inginocchia vicino e le sussurra una promessa: la prossima volta ti spezzerò le ossa’. E questo mentre un arpeggio acustico spicca le ali, sognante. Pessimismo, durezza? In ‘Waterfront’, una meraviglia tutta tastiere e voci, dal ritornello struggente, bisbiglia ‘Angeli presuntuosi t’additano e ridono: questa volta il tuo Dio è morto’. E la canzone si chiude con il più grande dubbio del mondo: ‘E’ il nostro amore abbastanza forte?’. Ma è solo un attimo. L’ultimo segreto dell’alveare svela i colori proibiti dell’abbagliante speranza, della certezza nel domani. E mentre Sakamoto cesella in ‘Forbidden colours’ la gorgogliante melodia giapponese di sottofondo, Sylvian mormora: ‘La mia vita crede in te ancora una volta’.