Se sono 70 gli anni che compie oggi, 9 maggio, Billy Joel, sono 26 gli anni che lo separano dall’ultimo album di canzoni, il trascurabile ‘River of dreams’. E l’impressione è che non ce ne saranno più, di dischi nuovi. Semplicemente perché quello che c’era da dire, è già stato ampiamento detto, in una carriera lunga in una vita piena di mogli (4, spesso molto più giovani di lui), figlie (3), alcol e tentativi di suicidio. Oggi Billy Joel è un pensionato di lusso che vive nella sua bella villa al caldo della Florida, di tanto in tanto ama fissare un ciclo di concerti all’amato Madison Square Garden della natìa New York, sedersi davanti al pianoforte davanti a spalti regolarmente  gremiti e urlare al microfono: “Vorreste canzoni nuove? Invece dovete beccarvi la solita merda…”. E i fan non aspettano altro. E’ una vecchia gag, ma come sovente accade, funziona sempre.

 

Strana carriera quella del ragazzo di Brooklyn.  All’inizio, e siamo nella prima parte degli anni Settanta, incide  una serie di album  onesti e zeppi di belle canzoni: ‘Cold spring harbor’ (copertina terrificante), ‘Piano man’ (altra copertina orrenda), ‘Streetlife serenade’, ‘Turnstiles’, Tutti legati da un filo rosso: non riscuotono  successo, tranne qualche timido colpo d’ala.  E lui si avvilisce,  logico no? Eppure le buone canzoni abbondano, ‘I’ve loved these days’, ‘Captain Jack’, ‘Say goodbye to Hollywood’, ‘You’re my home’, ‘New York state of mind’, brani pop-rock scritti di suo pugno e interpretati con notevole personalità.  Ha una band fissa che lo accompagnerà fino al 1989 e che comanda grintosamente con il chiodo di ordinanza  e una voce che si scioglie nelle ballate sentimentali più intense.  Che saranno tantissime.

 

Ma il successo non arriva per anni. E allora un giorno lui cambia tutto. Si affida a un produttore star, Phil Ramone, e incide ‘The stranger’. E’ il 1977. Un lavoro levigato, anche troppo, con atmosfere a volte disco (l’epoca era quella dei Bee Gees…). E il botto è bello grosso. Grazie anche, anzi soprattutto, alla ruffiana ‘Just the way you are’, regalo di compleanno alla prima moglie Elizabeth, con la quale i rapporti saranno tempestosi, e con il sax jazz di Phil Woods. La canzone, languida e tenera, sbanca le classifiche, più tardi ne farà  una versione cavernosa Barry White. E così in un attimo la storia cambia.   Anche i dischi successivi vendono bene. Ma, colpo di scena,  nel 1981 Billy Joel va controcorrente, con l’album ‘Songs in the attic’. Letteralmente: le canzoni in soffitta, con copertina a tema che lo riprende in pigiama con una torcia che illumina un pianoforte impolverato. In quel disco, un azzardo commerciale,  il ragazzo recupera dal vivo tutti i pezzi della prima parte della carriera, quando nessuno se li filava, e il risultato è straordinario.    Nel 1982 pubblica ‘The Nylon curtain’,    un album con buone canzoni, ‘Allentown’, ‘Pressure’ e la bellissima ‘Goodnight Saigon’, ma il colpaccio definitivo arriva con ‘An innocent man’ nel 1983: siamo in stile anni 50, non c’è una canzone da buttare e in ‘Uptown girl’ gira un video con la moglie, la supermodella Christie Brinkley. Poi succede qualcosa: la lampadina si spegne, la creatività comincia a scemare. C’è tempo per un’altra hit zuccherosa, ‘This is the time’ tratta dall’album ‘The bridge’ e  scelta in Italia come sigla della soap opera ‘Sentieri’, poi più nulla. Un tour in Russia con inevitabile disco dal vivo, e niente più dischi, tranne nel 2001 uno strano debutto nel campo della musica classica con ‘Fantasies & delusions’ (ricordate? Fu una strada battuta, vanamente, anche dal Joe Jackson del dopo ‘Night and day’). Poi dopo solo concerti e concerti. E così accadrà anche la sera del suo settantesimo compleanno, ovviamente al Madison Square Garden di New York. D’altro canto, se uno sente di non avere più nulla da dire, perché incidere dischi inutili? Basta il passato a testimoniare la grandezza.