Avevo poco più di sei anni e fra gli amichetti di quel periodo ce n’era uno che veniva considerato dal mondo degli adulti un’autentica peste. Anche noi, suoi coetanei compagni di classe, lo guardavamo con ammirazione, ma ne eravamo un po’ spaventati. Non sapevi mai cosa aspettarti e la cosa più incredibile è che non finiva di stupirci. Tra le tante bravate che combinava, ce n’era una che mi lasciava letteralmente a bocca aperta, al punto che la ricordo ancora, ma non credo di averla mai raccontata in giro, di sicuro non ai miei genitori che avrebbero aggiunto un’altra sacrosanta ragione per proibirmi di fare i giochi con lui (come si dice quando si è bambini…). L’episodio è presto detto: la terrazza dove giocavo si affacciava su un cortile. Era una vecchia casa, nel centro storico di un piccolo paese emiliano, e saprei riconoscere quell’odore di muffa che saliva dalle cantine restando sospeso nell’aria per effetto dell’umidità che avvolge la pianura padana in particolare nei mesi invernali. Quello spazio era il mio regno e vi passavo pomeriggi interi a palleggiare con il pallone o a giocare a tennis contro il muro. Vi si entrava dalla sala di casa. Tutti, ma non il mio amichetto che aveva preso l’abitudine di passare dal cornicione che univa le scale condominiali alla terrazza. Un tratto di pochi metri, ma talmente stretto da richiedere non solo equilibrio ma anche una bella dose di sangue freddo. Se sono qui a parlarne è perché, nonostante il pericolo corso, nessuno dei due è mai volato giù. Perché ovviamente dopo qualche tempo di esibizioni altrui anch’io volli provare. Forse non più di una volta, perché comunque qualcosa mi faceva pensare che era meglio non esagerare, ma non mi feci mancare il brivido dell’attraversata. Il volo dall’alto ci sarebbe costato carissimo, perché piombare giù da sette, otto metri non fa certo bene. L’episodio mi è tornato alla mente leggendo del ragazzino di Fermo morto a sedici anni perché ha sfidato le leggi della gravità. Una volta non si chiamava parkour, oggi queste follie adolescenziali sono diventate specialità sportiva. Un tempo per fare certe cose dovevi allenarti in palestra per ore, diventare un ginnasta, oppure imparare in un circo le tecniche per diventare acrobata. Non me la sento però di condannare il parkour e gettare la croce addosso a chi lo promuove. Purtroppo quando si è ragazzi si corrono rischi che nemmeno si immaginano e solo a distanza di anni ti rendi conto di quanto sei stato fortunato. La voglia di mettersi alla prova, di sfidarsi, di tentare anche quando non si è all’altezza della situazione fa parte del nostro essere uomini, soprattutto quando non si hanno ancora vent’anni. Per ragioni individuali, quindi non generalizzabili, c’è chi rischia di più e chi meno, chi sa tirare il freno quando è il momento, chi invece non sa cosa sia la paura e va avanti spingendosi sempre più in là. Sta ai genitori cercare di mettere in guardia i propri figli, ma può non bastare. Il destino è davvero cinico e baro, per usare un luogo comune, e non sempre si accanisce colpendo chi rischia di più, a volte cadono i prudenti, quelli che non avresti mai detto. Quindi non resta che ricordare le follie di quegli anni andati e felicitarsi del poterlo fare.