8 aprile

Quando non si è per ovvie ragioni, anagrafiche e professionali, tra i top runners della Marathon des Sables, si finisce per forza di cose a far far parte del gruppo dei viandanti del Sahara. Il che non è affatto male, se non fosse che trenta chilometri percorsi dai migliori in poco meno o poco piu di tre ore, si trasformano in pellegrinaggi che possono durare ore, come è successo oggi, otto ore o giù di lì. Il che, se non fosse per la stanchezza non è affatto male. Ogni pietra, ogni granello di sabbia da queste parti è testimone delle nostre origini e ne porta traccia. I fossili ne sono la prova e spuntano con una tale frequenza da farci quasi l’abitudine. Sotto forma di conchiglie, di forme di vita sconosciute per chi non ne abbia la conoscenza, ma comunque affascinante. Oppure le pietraie tra le rocce che assumono la forma di incredibili selciati, come se ci si trovasse lungo le strade di una Pompei, modellati dalla natura. E poi i colori, violenti e accecanti a mezzodi, tenui e pastellati all’alba, caldi e avvolgenti quando il sole tramonta.

Tutto cambia e si trasforma, lo stesso luogo inospitale può diventare caldo e avvolgente come se la madre terra volesse abbracciarti. I pensieri volano e si perdono in queste atmosfere, accentuati dalla fatica e dalla necessià di dover andare avanti, per arrivare alla propria tenda, aperta al vento che verso sera sale, aiutando a far precipitare la temperatura. Ma tra tanta bellezza ci si scontra anche con la stupidità degli uomini che in questo caso non mancano di lasciare traccia (seppure contenuta) del loro passaggio. Piccoli rifiuti abbandonati, involucri di barrette, parmigianini, perfino racchette da escursionista. Meriterebbero di essere spediti a casa e trovarsi nel salotto delle loro case cestini di rifiuti rovesciati dove capita. Forse capirebbero, ma forse non capiranno. Insultare il deserto, il testimone delle nostre origini, è la prova del baratro in cui sta precipitando, da tempo a dire il vero, la nostra cosiddetta civiltà.