Che bisogno abbiamo di scomodare quelli di Riace quando abbiamo già quelli di Milano? Chi meglio di Bobo e di Vittorio per Expo 2015? Finiamola con questi richiami al nostro trapassato remoto e con coraggio rappresentiamo tutta la nostra modernità. D’altronde ci devono essere ragioni più che valide se l’uno e l’altro viaggiano in coppia e si avviano a firmare l’esposizione planetaria che avremo l’onore di ospitare. E allora predisponiamo due bronzi a loro immagine e somiglianza all’ingresso di qualche faraonico padiglione e raccontiamo le gesta di questi nostri bronzi, capaci di arrivare tanto in alto e di restarci così a lungo. Ammettiamolo, sono loro i veri fenomeni, l’incarnazione del mikebongiorno pensiero, dominante da decenni, quello del “ha vinto una bella sommetta” (il professore Vittorio: “… se i bronzi di Riace vengono a Milano fruttano almeno 15 milioni di euro, 5 a voi, 10 a noi…”). D’altronde in un Paese dove la massima aspirazione è prendere il sole alle Maldive e in compenso ignorare i tesori della città in cui si vive, è normale che un professore di storia dell’arte, come in realtà ce ne sarebbero migliaia ma nessuno come il nostro in grado di schiumare rabbia e mollare schiaffoni in diretta sul piccolo schermo, possa diventare ministro, sindaco e chissà cos’altro… Là dove passa incanta con quel ciuffo ribelle ora brizzolato e quel fare guascone stile Billionaire. A Salemi dove è stato primo cittadino ancora lo ricordano, anche e soprattutto per i rimborsi spese da far rabbrividire e mettere in ginocchio la tesoreria del piccolo paese siciliano. Ma come si può negare qualcosa a chi ti stordisce di parole e di parolacce parlando di Picasso come se ci uscisse tutte le sera a cena?

Dell’altro poi che dire. È assurto allo scranno di governatore della regione più ricca d’Italia mentre il suo partito stava affondando nella melma. Alternando le due uniche espressioni del suo limitatissimo repertorio, il sorrisetto presa per i fondelli e quella corrucciata da ex ministro dell’Interno, non solo si è salvato, ma ha conquistato il loft all’ultimo piano di Palazzo Lombardia da dove come il suo predecessore, il Celeste (altro autentico fenomeno), domina Milano da vetrate a 360 gradi. Agitando una scopa su un palco di periferia ha gettato la croce sulle spalle del boss stanco e malato cavandosela con un laconico non c’ero e se c’ero non mi sono accorto di nulla. Come se per anni il delfino potesse davvero non sapere nulla delle malefatte della trota, ovvero del figliolo del leader, e di tutta la corte dei miracoli che gridava Roma ladrona salvo poi allungare la lista dei rimborsi spesa a carico dei lumbard che incredibilmente continuano a credere nella favola del carroccio. E il copione continua a ripetersi  da mesi, ogni volta che l’ennesimo appalto Expo si scopre essere taroccato, oggetto di indagine per irregolarità di cui un giorno, chissà quando e se mai per davvero, forse sapremo.

In realtà aldilà dei numeri da flipper che ci raccontano, l’idea stessa dell’esposizione universale così com’è concepita è davvero anacronistica, solo un pretesto per buttare al vento miliardi di euro e fare lavorare altre ruspe gettando altro cemento in una delle periferie, Rho e dintorni, più selvaggiamente sfruttate. L’Italia e il pianeta non hanno bisogno di questo. In questi giorno al Museo di Storia Naturale di Milano è in corso una mostra dal titolo “La terra vista dal cielo”: non è una carrellata delle solite belle immagini che raffigurano il nostro pianeta visto da un satellite, ma un allucinante reportage delle condizioni in cui versa il mondo in cui viviamo. Un documentario firmato da Yann Arthus-Bertrand (visibile anche in rete) mostra gli scempi che ci stanno portando velocemente all’autodistruzione. Abbiamo solo dieci anni per frenare il tracollo verso il quale stiamo andando. All’inizio del secolo scorso poteva avere un senso l’esposizione di ciò che rappresenta il meglio dei Paesi del nostro mondo. Oggi che senso ha tutto questo? Cosa rimarrà di quelle infrastrutture che per sei mesi saranno il fulcro di expo 2015? Non sarebbe stato meglio investire per riqualificare le immense bellezze del nostro Paese e distribuire i padiglioni nei luoghi già esistenti? Non poteva essere Milano il punto d’arrivo e una rete efficiente di trasporti non avrebbe potuto portare a visitare la nostra penisola? Non avremmo potuto comunque distribuire ricchezza e dar lavoro in giro per l’Italia, riqualificando e non cementificando? Ma forse per fare tutto questo servirebbe altro, un modo di pensare meno ordinario, molto lontano dall’Italia di oggi per la quale bastano davvero i nostri due bronzi. Quelli di Milano.