7 aprile –

Nella vita si fanno tante promesse. Poi uomini e donne si dividono in due categorie: quelli che le mantengono e quelli che invece lo fanno tanto per fare. In realtà, come sempre, esistono tanti fattori che concorrono a far sì che le promesse possano essere mantenute. Eppoi ne esistono di varia natura: un conto è dire ti prometto che domani ti telefono, un altro conto è una promessa di fede. Ma quando un padre promette a un figlio, mi sento di dire che non dovrebbe mai tradirlo (salvo motivate eccezioni). Quando quindici anni fa corsi la mia prima Marathon des Sables, mio figlio, che allora aveva sei anni, mi disse che avrebbe voluto correrla con me. Tante cose sono cambiate da quel giorno e avrei potuto avere mille motivi per dribblare quella promessa, ma per carattere quando prometto, mantengo. E così è stato. Poi i padri è giusto che si facciano da parte, soprattutto quando i bambini diventano ragazzi, poi quasi uomini e a ventuno anni è giusto considerarli tali. Tutto questo so che non è molto italiano, dove non non si esce da casa se non quando si ha, non solo un lavoro sicuro, ma anche tutto quanto sistemato, dalla casetta, al matrimonio e a quanto ne consegue. E anche in questi casi il richiamo alle origini è molto forte, quasi irresistibili.

Avendo questo british pensiero che mi accompagna, alla partenza della prima tappa della Sables, ho dovuto dire a mio figlio di non preoccuparsi per me, di fare la sua gara, che era giusto così. In cuor mio me lo vedevo già tra i top runner, un ventunenne italiano speranza tricolore. E così è stato fino ai primo controllo, ma 37 chilometri tra dune e scoscese salite rocciose. Nel frattempo avevo conosciuto un italo americano residente a New York, con origini campane, praticamente un fratello. E con lui oltre a scambiarci inviti nelle reciproche case, uno scambio culturale e non solo sull asse Milano/Bologna/New York, tra barrette energetiche e panorami mozzafiato, gambe a pezzi e cadlo per l appunto africano, elogiavo il prodigio che avevo per figlio, forse già all arrivo. Ma al secondo controllo, mentre ci prepariamo a un primo scambio di golosità (pretzel contro parmigiano), vediamo sdraiato un giovane, che distinguo senza un attimo di esitazione. <Ecco questo è mio figlio>, distrutto, a pezzi, massacrato da dune e vento, pronto al ritiro. Patrick, il fratello americano, pensando di fare cosa gradita, mette a tutto volume “Malafemmina”, con la promessa di rivederci al campo, tredici chilometri oltre. E io mi improvviso massagiatore e cuoco, riuscendo a convincerlo che non sarà un top runner, ma nemmeno uno da buttare. E ce l abbiamo fatta, arrivando camminando di buon passo, sotto un sole che volgeva al tramonto, meno cattivo di quello del mezzodì. Primo obiettivo raggiunto e una certezza: quando si torna in Italia chi lo rivede. Le ferie con lui si fanno quando decide e prima che ricapiti passeranno altri anni. E la promessa in sospeso l ho mantenuta. Per un padre all inglese è un ottimo risultato. E se qui oggi non ha camminato con le sue gambe, in Italia di certo lo fa già.