12 aprile –

Anni fa, di poco sotto gli anta, di ritorno dalla maratona di New York, fui convocato dal direttore di allora,  noto opinionista sportivo, poi passato alla guida di un importante quotidiano del settore. Mi chiese quanto ero arrivato in classifica egnerale e, con un certo orgoglio, gli dissi poco sopra alla millesima posizione in tre ore e dieci minuti. “Non mi interessa, se fossi arrivato tra i primi è un conto, ma cosi…”, mi liquidò. Questa è la tipica mentalità che governa l’informazione sportiva italiana, a differenza di quello che accade in Francia, Inghilterra, Spagna, per non parlare di Stati Uniti e di Australia. Le nostre aperture sono sempre e solo dedicate al calcio anche quando le notizie sono non notizie. E se chiedi perché, ti diranno sempre che gli altri sport non tirano, figuriamoci poi quelli individuali.

Io ho avuto modo di raccontare le mie gare, elemosinando spazi qua e là, non tanto per parlare di vincitori e di vinti, ma per cercare di descrivere universi sconosciuti  ai più, soprattutto agli italiani, sportivi risaputamente sedentari, più che altro tifosi. E oggi, che ho concluso in tarda serata la 42 chilometri della Marathon des Sables, quinta e ultima tappa della corsa più seguita nel mondo (tranne che in Italia, ovviamente) voglio raccontare la storia di due campioni veri. La prima è quella di Filippo Antonio Salari, 39 anni, originario di Alghero, settimo l’anno scorso, che ha ottenuto un ottimo quarto posto, perdendo il podio per una manciata di minuti all’ultima tappa. Nella vita di tutti i giorni è un affermato costruttore edile, un tipo che trova comunque il tempo per allenarsi quotidianamente, dedicarsi alla moglie e ai figli. Quanti giornali avranno in pagina una breve per sottolineare l’impresq di questo autentico esempio che tutti, pur con i loro limiti, fsrebbero bene a seguire? Di certo non il quotidiano del mio ex direttore che sarà troppo preso dallo sport nazionale per racconatre le storie di un uomo semplice e pulito che intende lo sport come una passione e non come un businnes. La seconda è quella di Mohamed, trentenne atleta marocchino, che ha percorso i 220 chilometri della Sables servendosi di due stampelle e la sola gamba sinistra perché ha perso la destra in un incidente. Metro dopo metro, senza mai demoralizzarsi, sorridente, motivato e deciso a raggiungere il suo obiettivo, seguito dalle tv del mondo, tranne da quelle italiane, ovviamente.

Nothing is impossible, recitava uno straordinario slogan pubblicitario di un noto marchio sportivo. Questo è il motivo per cui sono qui e martedi in ufficio. La Marathon des Sables non è una prova per super uomini o super donne, ma semplicemente una straordinaria occasione per temprarsi, un esercizio fisico, ma anche spirituale. In Italia certe storie non piacciono, fanno vendere di più i divi del calcio. D’altronde se si propongono solo questi… Ma al mio ex direttore farà piacere sapere che i bambini nel deserto, quelli che sbucano all’improvviso nei luoghi più impensati, quando vedono un tricolore chiedono di Balotelli, mentre quindici qnni fa il loro idolo era Vialli. Potere dei media. Ma cambiare registro farebbe bene allo sport e, soprattutto, alla salute degli italiani.