Una settimana fa nel deserto, oggi alle prese con la vita quotidiana. Quando si decide di partire per la Marathon des Sables, gare a tappe nel Sahara marocchino (220 chilometri da percorrere in sei giorni, correndo o marciando con lo zaino in spalla in completa autosufficienza alimentare), sono in molti a domandarti, al ritorno e prima di partire, che bisogno ci sia di trascorrere le proprie ferie in questo modo strampalato. Non lo nascondo che a volte, soprattutto prima di tornare tra erg (dune e piani sabbiosi), oued (corsi d’acqua, la maggior parte in secca) e jebel (catene rocciose, in Marocco a volte simili a quelle della Monument Valley, icona del west americano) me lo sono chiesto anch’io. Ma la risposta, puntuale e attesa, è arrivata quando mi sono trovato da quelle parti e, ancora di più, al mio ritorno. Intendiamoci, ognuno di noi cerca nel modo in cui gli è più congegniale le ragioni delle proprie scelte. Per strane ragioni, avendo trascorso i miei primi quindici anni in un paesino della Bassa bolognese, al confine con i luoghi dove Antonioni ambientò ‘Il deserto rosso’ (storia simbolo della crisi della borghesia e di una società già afflitta – siamo nel 1964 – da problematiche ambientali), quando da ragazzino mi sentivo afflitto da quegli strani malesseri dovuti al fatto che non si è più bambini (e nemmeno uomini…), mi infilavo le scarpe da ginnastica e andavo correndo attraverso cavedagne (sentieri in terra ed erba) ai margini dei campi di grano e delle vigne, incurante della calura estiva. Non erano i 54 gradi incontrati nel Sahara, ma quando il sole batte sulla pianura padana non scherza affatto, complice l’umidità tipica delle nostre campagne. In quelle ore solitarie la mente viaggiava e le riflessioni si sommavano alle luci, provocando un rivitalizzante e rinvigorente effetto. Riuscivo così ad allontanare il torpore e il pessimismo che a volte sopravanza la naturale (nel mio caso) propensione a voler vedere il lato bello della vita.

Così, un viaggio attraverso il deserto significa, se lo si vuole, staccare i ponti con la nostra quotidianità e rappresenta un brusco, ma efficace sistema per ritrovarsi a contatto con la natura. Non solo per apprezzare l’essenziale e magnifica bellezza del creato, ma anche per riapproppriarsi dei propri tempi, per riscoprire i valori che contano nella vita, per dare il giusto peso a quanto ci circonda. Non lo si può fare senza Marathon des Sables? Certo, ma questo è senz’altro un modo anche divertente per riuscirci. Quante sono le opportunità per un occidentale di andarsene a piedi per luoghi come questi senza correre rischi?  Poche, se non nessuna. Poi, sia chiaro, molti dei partecipanti inseguono il mito sportivo, quello per cui ‘basta arrivare in fondo’ e sfruttano questa esperienza solo per arricchire la propria bacheca di un trofeo. Rispettabile pure il loro punto di vista, anche se temo che fra loro si celino molti di quelli che anche nel deserto non sanno cosa sia il rispetto del prossimo e dell’ambiente… Quelli che se c’è da evitare le code ai danni di qualcuno non esitano a farlo (a volte sembrano lo facciano per non perdere quella che considerano una sana abitudine…) e che buttano cartacce e involucri in plastica incuranti di sfregiare un luogo ancora, in parte, non contaminato dalla nostra barbara civiltà. Tutto questo per dire che dopo 15 anni sono tornato nel Sahara e sono felice di averlo fatto. La voglia di viaggiare, di conoscere nuovi luoghi e, soprattutto, persone e culture lontane dalla mia è cresciuta ancora. Consapevole del fatto che, se si affronta la vita con coraggio ed umiltà, le sorprese non mancano. Come quando a Ouarzazate, in sole 24 ore, attendendo il volo che mi avrebbe riportato in Italia, sono entrato in contatto con la città vera, non quella turistica. Scoprendo che il mondo reale è ricco di persone che meritano di essere conosciute, superando luoghi comuni diffusi e contagiosi, autentica piaga destinata ad alimentare odio e superficialità. Buone ragioni per coltivare progetti che mi portino ad affrontare nuove sfide, non necessariamente correndo, ma ‘semplicemente’ vivendo senza precludermi nulla. Convinto che chi può farlo non deve, per nessuna ragione al mondo, rinunciare a tutto ciò che è nuovo e diverso dal solito, mortale tran tran.