Dal traffico tornato caotico ci siamo tutti accorti che è iniziato un nuovo anno scolastico. Anche chi non ha figli, uscendo la mattina negli orari che precedono il suono della campanella, ne avrà preso nota. Sfrecciano le auto con le mamme in perenne ritardo, sfilano con il volto imbronciato o assonnato i piccoli studentelli lungo i marciapiedi che conducono al portone d’ingresso: tutti ci siamo passati da quelle aule e ognuno di noi porta con sè il ricordo più o meno felice di quelle ore e degli insegnanti che ci hanno accompagnato nel cammino dell’infanzia, poi dell’adolescenza. Del difficile lavoro degli educatori, del loro ruolo e della loro missione si è parlato più del solito, come sempre accade ogni anno in questo periodo, salvo poi dimenticarsene e ricordarsene solo quando la cronaca ha il sopravvento e si tratta di denunciare questo o quell’abuso, questa o quell’ingiustizia. Eppure sui banchi di scuola si gioca il futuro del nostro Paese perché è lì che si formano le generazioni che succederanno alle nostre ed è lì che si dovrebbe sempre partire per crescere.

E così, come capita quando si riflette sul senso delle cose senza trovare risposte, mi è tornato in mente un film magico di alcuni anni fa che parla di studenti, insegnanti, scuola: Essere e avere di Nicolas Philibert. Essere e avere, to be and to have,  etre et avoir ovvero i verbi che in ogni lingua si insegnano per primi e non (solo) citazione del quesito di Erich Fromm, ovvero quell’Avere o essere?, saggio che seziona con sguardo impietoso la nostra società contemporanea nella quale <se uno non ha nulla, non è nulla>. Nel film di Philibert, più documentario che fiction, si racconta di un anno vissuto nel lento dipanarsi delle stagioni in una classe unica, ovvero in una minuscola scuola dove per carenza di iscritti il maestro ha il compito di far convivere bimbi piccoli con altri più grandicelli. Realtà lontana anni luce da quelle delle nostre metropoli, ma che lancia un messaggio preciso, meraviglioso e incoraggiante. Ciò che conta non è chi c’è in classe, ma come si vive in classe. Lasciando che al dialogo, al confronto autentico segua il silenzio, la riflessione e l’intimità tra insegnate e alunni prevalga sui programmi. Formare, educare, insegnare il rispetto, far comprendere cosa significhi davvero  gettare lo sguardo sul prossimo e sul mondo, in poche parole saper leggere la realtà. Affacciarsi alla finestra e apprezzare la natura, comprendere il prossimo e abituare alla convivenza: l”esatto opposto di quello che accade dalle nostre parti. Dovremmo rivederlo tutti il film di Philibert, ogni anno prima dell’inizio dell’anno scolastico, e poi passeggiare in silenzio per una mezz’ora almeno, cercando di riappropriarci di quei ritmi, di quel clima, di quella pace interiore che dovrebbe comunicare ogni adulto a un cucciolo d’uomo, figlio o alunno non importa. Per tranquillizzarlo e fargli comprendere che non esiste il nulla se si apprezza e preferisce l’essere.