Mi sembra ovvio che un gruppo di folletti impazziti come gli Stones abbia potuto resistere, musicalmente, solo grazie alla solidità di un personaggio come Charlie Watts.
Che spettacolo vederli fare i pazzi, trasgredire, sbagliare tutto e fregarsene. Ma è un errore concentrarsi su quello, senza mettere a fuoco la figura sullo sfondo di questo tizio sempre posato, concentrato, in camicia, spesso in cravatta, che come una specie di mitologico Atlante sorregge il gruppo sulle sue bacchette, senza spettinarsi, sudare o mostrare fatica in quel mare in tempesta.à
Un impiegato del rock ‘n’ roll, ho sentito dire, ma è una stronzata. Perché se in pezzi epici come Paint it black, Let’s spend the night together e mille altri togli la batteria, stacchi la spina.
E poi c’è I can’t get no satisfaction: è Storia il riff di chitarra. Però c’è un punto, alla fine di ogni ritornello, in cui la batteria – che va sempre dritta come un treno, tutta accenti ed energia – resta da sola per qualche secondo, potentissima senza mai strafare, e illumina l’intero pezzo.
Questa non è roba da impiegati. E a ben guardare quella storia dell’abito e del monaco, adattata a Charlie Watts, è forse la cosa più iconica e trasgressiva che gli Stones abbiano mai partorito.
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