Firenze, 30 novembre 2o17 – Come altre volte è accaduto, anche il mese di novembre delle nostre ‘Notizie’ prevede sul gradino più alto del podio un ex-aequo. Al risultato largamente prevedibile quanto giusto riscosso dal post pasolinano Anniversario Pasolini 1975-2017 (lo abbiamo festeggiato ieri) fa infatti riscontro quello meno atteso ma altrettanto gradito e condivisibile del post tozzian-baudelairiano Tozzi e Baudelaire.

Vincono con Pasolini anche Tozzi e Baudelaire, e in particolare Tozzi che traduce, sulla base di singolari affinità elettive di poetica, una delle Fleurs du mal del grande poeta francese. Poi, un po’ distanziato dai vincitori di questo mese ma forte di consensi e commenti ricevuti, un drappello di poeti tutti italiani cronologicamente seriati dal primo Novecento ai nostri giorni: e tutti, rinunciando per una volta ad argento e bronzo, indistintamente segnaliamo, coingratulandoci: Il quadro e il ringraziamento. Attilio Bertolucci , Premio Betocchi a Patrizia Cavalli , Buon compleanno ad Arturo Loria e Fine della Grande Guerra (con una poesia di Rebora).

Tra i vostri commenti su questo particolare post tozziano segnaliamo quelli di giacomotrinci, Matteo Mazzone e Isola Difederigo. Rispettivamente: “Imitazione, emulazione; tradizione, traduzione. All’incrocio di questo quartetto si gioca il giogo crudele della letteratura tozziana. Un autore colto e ‘primitivo’ insieme, che mette in campo la sua sfolgorante consapevolezza tragica in questo sonetto che trascina in italiano, da una tradizione all’altra, il fraterno sanguinare di Baudelaire. L’autore francese e l’autore italiano si fronteggiano, mescolano le acque, fedelmente tralucono l’uno sull’altro, tanto da evidenziare la straordinaria presenza, ‘spettrale’, si direbbe, di un Baudelaire italiano d’inizio novecento, pronto ad assimilare la via crucis del poeta francese: donando voce e corpo ad uno spettro aggirante nella modernità appena inaugurata”; “Tozzi da grande poeta e da grande uomo di cultura ripercorre, inevitabilmente, le scie oscure di un altrettanto letterario passato; e con l’ ‘oscuro’ Baudelaire sembra intessere, ora, un prolifico e forte legame di attività comprensiva dello stesso. L’interrogatorio-affermazione da cui tutto parte è ‘L’Art est long et le Temps est court’ – (che ritorna anche in Balzac nel suo ‘Il capolavoro sconosciuto’): e anche in Tozzi l’arte, cioè il canto lirico – umanisticamente intesa come prosecuzione eterna, pura e gloriosa delle vicende umane – diviene lo strumento principale per porre domande – e semmai a rispondere – alla brevità (e nel caso tozziano direi stringatezza) della vita: cioè che essa può dare, come lo dà, perché e come noi (com)partecipiamo in essa. La modernità di Tozzi consiste, tra l’altro, anche in questo: un’analisi speculativa – che ha il suo illustre antecedente italiano in Svevo – atta a verificare lo scopo della vita umana; e classicamente, come una risposta certa non c’è (se non miriadi e poliedriche varianti approssimanti), così il mezzo più idoneo a questo tipo di indagine rimane la poesia, che con la sua forza creatrice mitiga, appiana, ridistribuisce umori e malumori”; “Nel sistema chiuso, fortemente selettivo e autoreferenziale dell’ars tozziana, anche l’esercizio della traduzione rientra nel progetto di ‘lettura totale’ inglobante l’attività critico-saggistica e quella del Tozzi antologista dei prediletti antichi scrittori senesi; un progetto interessato ad autori e titoli promossi, come esemplarmente avviene in questo caso, a occasioni di autoverifica di una poetica del profondo, al traguardo primonovecentesco di una modernità che in Tozzi – secondo il precetto baudelairiano – ‘è solo una metà dell’arte. L’altra è la sua eternità'”.

A domani con un nuovo mese di “Notizie di poesia”!

Marco Marchi

Tozzi e Baudelaire

VEDI I VIDEO “Le Guignon” di Charles Baudelaire Baudelaire secondo Valerio Magrelli , Tozzi, la scrittura crudele , Scene da “Con gli occhi chiusi” di Francesca Archibugi (1994)

Firenze, 13 novembre 2017 – Segnalando la recente pubblicazione di un delizioso piccolo libro tozziano: F. Tozzi, Fonti, prefazione di Antonio Prete, Roma, Edizione degli Animali, 2017.

La mappa delle traduzioni dal francese di Federigo Tozzi prevede nomi e testi significativi. Se nell’Archivio Tozzi si conservano ancora gli originali della Principessa Maleine di Maeterlinck e di Una notte al Lussemburgo di Remy de Gourmont, se una lettera di Novale testimonia perlomeno di un progetto di traduzione del romanzo La Cathédrale di Huysmans, anche il settore poetico si sapeva dover annoverare prodotti che non fossero solo versioni di liriche di Francis Jammes.

Sta di fatto che tra questi materiali è a suo tempo emerso un importante, testimoniabile rapporto fra Tozzi e l’opera di Charles Baudelaire. Si tratta dell’undicesimo componimento delle Fleurs du Mal, il sonetto Le Guignon, tradotto da Tozzi con sostanziale fedeltà alla lettera dell’originale.

La carta dell’autografo è conservata in un inserto con datazione di mano di Glauco Tozzi – il figlio dello scrittore, editore delle sue opere – «Roma, luglio 1917». Ciò rende plausibile il collegamento con un esemplare delle Fleurs du Mal posseduto da Tozzi e da lui datato nel frontespizio «Roma, luglio del 1917». Ma anche l’indicazione di Glauco Tozzi non esclude una frequentazione delle Fleurs da parte dell’autore ben più antica, arretrabile almeno, stando alle attestazioni dei Registri dei prestiti della Biblioteca Comunale di Siena, al 4-8 maggio 1905: Tozzi, allora, era appena ventiduenne.

Certo è che la scelta di una poesia da tradurre come il sonetto Le Guignon di Baudelaire appare per Tozzi pertinente e ad ogni altezza del suo percorso artistico calamitante: un testo da affinità elettive, si direbbe, in cui lo scrittore senese, fino dal primo verso, è irresistibilmente richiamato ad una propria poetica, ai fondamenti stessi del suo bisogno espressivo: posto come di fronte ad uno specchio.

«Pour soulever un poids si lourd»: la condanna cui il ribellistico figlio di Eolo è sottoposto è la medesima che Tozzi sta continuativamente scontando da sempre. La sfortuna (le guignon) e l’inferno derivabili da un testo di Baudelaire si attualizzano. Subito si riattiva la dicotomia manichea efficiente in Tozzi tra anima e opaco involucro terrestre, testimoniata dagli antichi documenti epistolari indirizzati alla fidanzata (si vedano gli ostacoli corporei alla pienezza dell’amore e alla «vera vita delle sensazioni» nella lettera del 3 gennaio 1908) e, splendidamente, da tutta un’opera.

Pesantezza e leggerezza. Anche l’impegno lirico certifica l’«enorme martirio» subìto. Servirà affidarsi alla scrittura? L’Arte tenta di reagire a un disagio, di rispondere, smentendo l’assurda arbitrarietà di ciò che il Tempo è disposto a concedere al nuovo Sisifo, mitologico «uomo dei dolori» pronto a reimpostare l’imperscrutabilità del proprio esempio di disubbidiente punito secondo l’elementare dialettica luce/tenebra, qui ravvisabile nel prosieguo dei versi, dislocata nella prima terzina del sonetto.

Procedere nel buio, con gli occhi chiusi, in cerca della «bocca che possa parlarci dolcemente» (La gioia, in Barche capovolte), sperando di sanare la scollatura nominalistica che sussiste tra le parole e le cose, di riconquistare l’anima… Les Fleurs du Mal e le Lamentazioni finiscono in Tozzi per confondersi, al pari della scienza di William James e dell’ardore mistico di Santa Caterina.

L’Arte è lunga, il Tempo breve (dall’aforisma di Ippocrate «Vita brevis, ars longa» ai sonetti di Alfieri e Foscolo: «Lunga è l’arte sublime, il viver breve», CLXXXVII, «Breve è la vita e lunga l’arte», XII), il cammino di risalita dall’abisso impervio e faticoso, gli strumenti cui ricorrere per tentare l’impresa inadeguati: fatalmente imperfetti.

All’insegna di una sorta di antiparnassianesimo biologico, lontano da marmoree compiutezze e vantabili impassibilità e fiducioso invece nelle prospettive dal basso, Tozzi e Baudelaire si ritrovano assieme, partecipi di una medesima totalizzante sfida linguistica della nostalgia e della consapevolezza, se il poeta delle Fleurs, come ha scritto con pertinenza Luigi de Nardis, «crede in un mondo di forme perfette e esistenti da sempre, irraggiungibili come i gioielli sepolti nel cimitero solingo della sua anima, a cui tenta di avvicinarsi per scandagli, talvolta anche usando rabbiosamente la zappa». Di più: «La sua ossessione compositiva nasce proprio da questa paziente rabbia di ricerca nel profondo, verso le architetture di una vita anteriore, verso gli archetipi della bellezza».

Sono definizioni travasabili. Non a caso, pure all’interno di un singolo testo tradotto, l’universo precipitato tozziano, perennemente  anelante a redenzioni purificatrici e ricongiungimenti a un rigoglioso podere di partenza, torna suo malgrado a profilarsi nei termini di un unico, protratto day after della cacciata: granitico allestimento di inganni che «trasuda il delitto» (Macchia), criptico scenario di mere possibilità sigillate, di «misteriosi atti nostri» solitari e sepolti, inesplicabili e solo rappresentabili nelle loro contraddittorie emergenze di superficie.

«Era una mattina d’estate – si legge in una prosa di Bestie –, calda e accecante. Camminavo piano, e sempre di più la natura mi pareva un sogno immenso della mia anima. Il cuore mi batteva di contentezza». Nessun «tamburo velato» al seguito di «marce funebri», come nel testo delle Fleurs. Ma anche la natura di Le Guignon promette e si ritrae, indica e si nasconde, è immobile e ferisce.

Il che equivale a dire Tozzi assieme a Baudelaire e assieme a Leopardi, i grandi inauguratori del moderno. Ciò nonostante il desiderio baudelairianamente superbo dell’Opera, analogamente a quanto accade tra i confini del piccolo cimitero di campagna che ritroviamo nelle pagine tozziane di Adele (luogo dimenticato da tutti, ma non dallo scrittore che ne registra puntualmente il fascino), continua a inviare segnali, a svolgere le sue ambiguità mortuarie di attrazione e di potenziale rivalsa: il suo profumato secret, il suo luccichio prezioso e inaccessibile: «È un cimitero che non ode se non i canti degli uccelli», «tutto aperto all’infinito».

Marco Marchi

Per sollevare un peso così greve…

Per sollevare un peso così greve,
Sisifo, ci vorrebbe il tuo coraggio!
Benché abbia cuore per mettermi all’opera,
È l’Arte lunga e in vece il Tempo è breve.

Lontano dalle sepolture celebri,
E verso un cimitero ch’è isolato,
Il cuore come un tamburo velato,
Battendo va dietro le marce funebri.

Molti gioielli dormono sepolti
Nelle tenebre folte e negli oblii,
Lontano dai picconi e dalle sonde.

E molti fiori a dare son restii
Profumi dolci come sogni avvolti
Da grandi solitudini profonde.

Le Guignon

Pour soulever un poids si lourd,
Sisyphe, il faudrait ton courage!
Bien qu’on ait du coeur à l’ouvrage,
L’Art est long et le Temps est court.

Loin des sépultures célèbres,
Vers un cimetière isolé,
Mon coeur, comme un tambour voilé,
Va battant des marches funèbres.

Maint joyau dort enseveli
Dans les ténèbres et l’oubli,
Bien loin des pioches et des sondes;

Mainte fleur épanche à regret
Son parfum doux comme un secret
Dans les solitudes profondes.

Charles Baudelaire 

(da Les Fleurs du Mal, 1857)

I VOSTRI COMMENTI

Antonella Bottari
“Da grandi solitudini profonde”. Apogeo di sintesi poetica in Tozzi che raccoglie il testimone di Baudelaire non appropriandosene, ma incidendo su pietra, come il suo eteronimo, verso dopo verso, il male e la distanza dal mondo. Come rammenta Omero di Sisifo, re crudele, così il Tempo non dà luogo ad ulteriori movimenti del verso,se non il riscriverli in una corrispondenza di amorosi sensi di foscoliana memoria. Poichè se le occorrenze dei singoli termini sconfinano il campo semantico loro assegnato, Tozzi, nel tradurle ne conferma la potenza significante e rilucente come pietra levigata dall’uso, ma inesausta.Lector
Federigo e Charles… due grandissimi! E un significativo episodio di affinità elettive: questa traduzione e molte opere tozziane, lo dimostrano

Marco Capecchi
La cultura di Tozzi: per niente provinciale e/o rabdomantica.

Nella volontà di tradurre Le Guignon di Baudelaire, Federigo Tozzi deve aver sentito col poeta francese una grande empatia, una profonda fratellanza. Le Guignon fa parte dell’inizio del cammino interiore che il poeta francese intraprende con la raccolta I Fiori del Male, cioè è inserita in Spleen e Ideale, il cui titolo porta in sé la contraddizione, l’ambiguità del titolo generale: i Fiori (l’”ideale”) ossia l’ aspirazione di B. ad un sublime in cui regni la pienezza dell’essere e quel Male (lo “spleen”), cioè l’angoscia metafisica che lo assale e gli impedisce di elevarsi. E se brevi istanti di ebbrezza e di esaltazione mitigano talvolta il “male di vivere”, questo sempre e sempre riaffiora. Tozzi deve aver riconosciuto nella poesia di Baudelaire l’immagine e il peso delle proprie frustrazioni: i
rapporti conflittuali con il padre, il dolore per la morte della madre, gli insuccessi, le delusioni amorose…, ma soprattutto la percezione che da qualche parte, in zone misteriose, c’è la bellezza occulta di una verità inafferrabile che è sempre lì lì per essere raggiunta. Forse.

Tozzi, Baudelaire… L’incidenza di buone novelle, fedi comunicabili e risolutivi indirizzi ideologici cui potersi attenere in Tozzi si ferma qui: un “laicismo da privazione”, in sostanza, secondo l’ottima definizione fornita a suo tempo da Luigi Baldacci. Sulla riattivata trasmissibilità di un incalco spezzato che torna ad essere forma perfetta prevale in Tozzi, anche a sentirsi o volersi finalmente sentire figli di un padre, una moderna “somiglianza inesplicabile” (“L’incalco”).

Elisabetta Biondi della Sdriscia
Se nei romanzi e nelle novelle sono i personaggi tozziani a vivere attanagliati da un’angoscia esistenziale paralizzante – espressa con la straordinaria modernità della nuda registrazione dei fatti, senza nessi di causalità, senza spiegazioni, con il linguaggio franto della paratassi che Tozzi utilizza al massimo delle possibilità espressive – nella produzione poetica è l’autore in prima persona a parlarci con versi intensi e rivelatori dalla sonorità difficile, che dalle suggestioni dell’Inferno dantesco sembrano trarre istintiva ispirazione. Dante, dunque, e Leopardi, ma non solo e nella presente versione della poesia di Baudelaire, tanto sentita affine da volerne affrontare il cimento impervio della traduzione, ritroviamo temi tozziani ineludibili.

Giulia Bagnoli
Come i fiori, che non riescono più ad emanare il loro profumo, e, con esso, a sprigionare la loro bellezza, perché avvolti dalla solitudine, così Pietro, incapace di vedere la realtà, si sente umiliato da ciò che è bello e si avvia verso l’abisso, dove non ci sono più odori gradevoli e tutto è tetro e triste. La bellezza, come possiamo riscontrare anche nei versi di Spleen, sta lasciando il posto all’angoscia.

Finizio Simona
Tozzi usa un linguaggio nuovo e sconcertante, tale linguaggio si ritrova anche leggendo alcune poesie dei “Fiori del Male” di Baudelaire. Caratteristica fondamentale di Baudelaire è il “morbo” che denota inquietudine, tormento e la “melanconia”che proviene dallo “spleen” (milza in inglese). Spleen inteso come Angoscia. Angoscia che si ritrova anche nei personaggi tozziani come Pietro che “sta con gli occhi chiusi” per non voler vedere la realtà che lo circonda.

Imitazione, emulazione; tradizione, traduzione. All’incrocio di questo quartetto si gioca il giogo crudele della letteratura tozziana. Un autore colto e “primitivo” insieme, che mette in campo la sua sfolgorante consapevolezza tragica in questo sonetto che trascina in italiano, da una tradizione all’altra, il fraterno sanguinare di Baudelaire. L’autore francese e l’autore italiano si fronteggiano, mescolano le acque, fedelmente tralucono l’uno sull’altro, tanto da evidenziare la straordinaria presenza, “spettrale”, si direbbe, di un Baudelaire italiano d’inizio novecento, pronto ad assimilare la via crucis del poeta francese: donando voce e corpo ad uno spettro aggirante nella modernità appena inaugurata.

Duccio Mugnai
Indiscutibile la capacità tozziana di riscontro e riferimento culturale, il quale, tuttavia, non rimane solo imitazione, ma nuova fioritura d’arte. E’ come se Tozzi volesse ascoltare il segreto impenetrabile ed altrettanto dimenticato della voce di Baudelaire: “È l’Arte lunga e in vece il Tempo è breve.”. Se non è condanna al silenzio, può essere sfida contro il tempo o l’artificio naturalistico della sfortuna, per scandagliare se stessi, scoprire un mondo che è ben altro dal volto felice ed ipocrita in cui spesso ci si specchia:”[…] Il cuore come un tamburo velato, / Battendo va dietro le marce funebri.[…]E molti fiori a dare son restii / Profumi dolci come sogni avvolti /Da grandi solitudini profonde.”.

Chiara Scidone
Una traduzione impeccabile. Tozzi che si sente molto vicino a Baudelaire nelle tematiche, ha saputo usare le parole giuste per tradurre questo sonetto e per farlo suo.

Pietro Paolo Tarasco
Il mio felice incontro con la poetica tozziana è sempre vivo nei miei pensieri. Indimenticabili le sue cicale come “balocchi vivi dell’estate” e poi, ascoltandole, “vorrei non morire mai.”

Isola Difederigo
Nel sistema chiuso, fortemente selettivo e autoreferenziale dell’ars tozziana, anche l’esercizio della traduzione rientra nel progetto di “lettura totale” inglobante l’attività critico-saggistica e quella del Tozzi antologista dei prediletti antichi scrittori senesi; un progetto interessato ad autori e titoli promossi, come esemplarmente avviene in questo caso, a occasioni di autoverifica di una poetica del profondo, al traguardo primonovecentesco di una modernità che in Tozzi – secondo il precetto baudelairiano – “è solo una metà dell’arte. L’altra è la sua eternità”.

Matteo Mazzone
Tozzi da grande poeta e da grande uomo di cultura ripercorre, inevitabilmente, le scie oscure di un altrettanto letterario passato; e con “l’oscuro” Baudelaire sembra intessere, ora, un prolifico e forte legame di attività comprensiva dello stesso. L’interrogatorio-affermazione da cui tutto parte è “L’Art est long et le Temps est court” – (che ritorna anche in Balzac nel suo “Il capolavoro sconosciuto”): e anche in Tozzi l’arte, cioè il canto lirico – umanisticamente intesa come prosecuzione eterna, pura e gloriosa delle vicende umane – diviene lo strumento principale per porre domande – e semmai a rispondere – alla brevità (e nel caso tozziano direi stringatezza) della vita: cioè che essa può dare, come lo dà, perché e come noi (com)partecipiamo in essa. La modernità di Tozzi consiste, tra l’altro, anche in questo: un’analisi speculativa – che ha il suo illustre antecedente italiano in Svevo – atta a verificare lo scopo della vita umana; e classicamente, come una risposta certa non c’è (se non miriadi e poliedriche varianti approssimanti), così il mezzo più idoneo a questo tipo di indagine rimane la poesia, che con la sua forza creatrice mitiga, appiana, ridistribuisce umori e malumori.

Aretusa Obliviosa
Il giovane Tozzi, lettore appassionato di Poe (che è fonte condivisa con Baudelaire), non può rimanere indifferente di fronte al manicheismo e simbolismo del francese. L’esperienza di lettura e traduzione di questi autori rimarrà come lezione ineludibile e terreno fertile in cui far maturare tematiche allo stesso Tozzi congeniali: la pesantezza, il velo, la solitudine. Viaggi interiori di auscultazione dell’io.

In un “universo schiacciato” come quello che l’opera di Tozzi ci propone è inevitabile ravvisarvi un forte anelito alla leggerezza, alla liberazione dai vincoli della pesantezza avvertita come una inesorabile condanna: il desiderio di un’anima. È così che, invece di rivolgersi ancora una volta alla propria anima incerta perfino della propria esistenza, Tozzi a chiusura di “Bestie” chiede ad una naturale e letterarissima allodola di prendere la sua anima, di farla finalmente volare.

Seguici anche sulla Pagina Facebook del Premio Letterario Castelfiorentino
e sulla pagina personale https://www.facebook.com/profile.php?id=100012327221127

ARCHIVIO POST PRECEDENTI

Le ultime NOTIZIE DI POESIA

NOTIZIE DI POESIA 2012 , NOTIZIE DI POESIA 2013 , NOTIZIE DI POESIA 2014 , NOTIZIE DI POESIA 2015 , NOTIZIE DI POESIA 2016 , NOTIZIE DI POESIA gennaio-marzo 2017 , NOTIZIE DI POESIA, aprile-giugno 2017 , NOTIZIE DI POESIA, luglio-settembre 2017 , NOTIZIE DI POESIA, ottobre 2017 NOTIZIE DI POESIA, novembre 2017