Benessere

Gli stereotipi di genere possono danneggiare i bimbi: buone pratiche da copiare

di
Valeria Panzeri
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“Non fare la femminuccia”, quante volte i genitori, in assoluta buona fede, si rivolgono così ai propri bimbi maschi per esortarli a smettere di piangere o a non avere paura. Il tema dell’educazione alla parità di genere, come confermano educatori e psicologi, è cardinale già dalla prima infanzia e interessa sia la platea femminile che quella maschile. Non si tratta, soltanto, di contribuire a sradicare le disuguaglianze sociali che penalizzano ancora, fortemente, le donne bensì di aiutare i bambini a formarsi e crescere nel rispetto delle proprie inclinazioni, liberi da schemi sociali obsoleti e – soprattutto – autonomi e indipendenti. La questione, infatti, non è esclusivamente sociale, bensì strettamente connessa ad una crescita e uno sviluppo sani dei minori.

 

Nei Paesi nordici ai piccoli studenti– maschi e femmine indistintamente – il sistema scolastico impartisce anche nozioni su tutte quelle attività che riguardano la gestione della casa (che in molte culture sono considerate appannaggio delle donne). Già sui banchi di scuola i bimbi imparano a stirare, cucinare, pulire il forno, caricare la lavatrice, cucire, mettere a posto le stoviglie dopo averle lavate. In prima battuta questa pratica virtuosa può essere letta esclusivamente a favore del mondo femminile. In realtà, come confermano i pedagogisti, coinvolgere i propri figli nelle piccole attività domestiche è una pratica virtuosa che rafforza la loro autostima. Un bambino che sa di poter fare, a 360 gradi, sarà un adulto sicuro e indipendente.

 

Sul tema si è concentrata una ricerca scientifica svolta da Marty Rossmann – professore emerito associato di educazione familiare – dell’Università del Minnesota, che ha confermato che coinvolgere i bambini nelle attività domestiche li aiuta a sviluppare un maggior senso di responsabilità e infonde in loro più fiducia, contribuendo significativamente al successo nella loro vita da adulti. Lo studio scientifico, altro dettaglio interessante, conferma i benefici su entrambi i sessi: maschietti compresi.

 

Rimanendo focalizzati sui bimbi, per assicurare agli uomini di domani una corretta capacità di gestire le proprie emozioni, è importante scardinare le aspettative nocive: “un maschio non piange, un maschio è forte, un maschio agisce”. Gli psicologi invitano a legittimare i bimbi a prendere contatto con le proprie emozioni, ed essere liberi di mostrarle: ricevendo una legittimazione da parte delle proprie figure di accudimento. Un’ottima pratica, catartica in tal senso, è quella di affidarsi fin dalla più tenera infanzia ai libri illustrati, interloquendo con i bambini circa le dinamiche delle storie, ascoltare il proprio punto di vista e utilizzarle come spunti per elaborare le emozioni che suscitano.

 

Passiamo ora alle piccole donne, l’altra metà del cielo che – statistiche alla mano – rischia (anche nei Paesi avanzati, Italia compresa) di pagare il prezzo più alto in termini professionali, economici e di pregiudizi. Una ricerca realizzata da Ipsos per Save the Children ha mostrato come bambine e bambini compiano delle scelte di studio che sono ancora fortemente influenzate dagli stereotipi di genere e dalle convenzioni sociali, compresi gli orientamenti tradizionali all’interno della famiglia. Le bambine preferiscono i settori dei servizi e della cura, mentre i bambini quelli tecnici e manifatturieri.

 

Nell’opinione di educatori, educatrici e insegnanti coinvolti nella ricerca, le barriere da abbattere legate a povertà educativa e stereotipi dipendono da: assenza di un sostegno culturale ed economico da parte della famiglia, mancanza di autostima (la paura di “non raggiungere gli standard” e, nel caso delle ragazze “non sentirsi all’altezza”) e l’insufficiente accesso alla tecnologia che rende i ragazzi e, soprattutto le ragazze, meno sicuri delle proprie capacità nell’utilizzo degli strumenti digitali.

 

Anche per le bimbe è fortemente consigliata una scelta accurata di buoni libri, sin dall’infanzia: bando alle fiabe dove le protagoniste femminili sono in attesa di un eroe che risolva loro i problemi. Una tecnica molto diffusa dagli educatori professionisti negli asili nido, per esempio, è fornire competenze quotidiane di problem solving. Il piccolo che si rivolge all’adulto in cerca di aiuto, laddove è possibile, non deve vedersi il problema risolto; meglio guidarlo nel percorso di risoluzione insieme, in modo che la prossima volta vi siano la capacità e l’indipendenza nel gestire da soli l’ostacolo.

 

Per le bambine è inoltre importante entrare in contatto con la scienza precocemente. A tutt’oggi, infatti, il mondo degli studi scientifici, è dominato dalle quote blu. Il numero di ragazze che scelgono lauree Stem, cioè di ambito scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico è ancora molto basso: colpa di stereotipi culturali consolidati che impongono modelli e ruoli predefiniti. Laddove, ovviamente, vi sia una predisposizione e un interesse delle piccole per queste materie, è importante appoggiarle e incuriosirle, fornendo loro giocattoli, letture e informazioni coinvolgenti sul tema.

 

È l’impegno che porta avanti Ersilia Vaudo Scarpetta, astrofisica e chief diversity officer dell’Agenzia spaziale europea (ESA). “Il passo più importante per avvicinare le ragazze alla scienza è abbattere gli stereotipi di genere che marchiano il futuro delle bambine, oltre il merchandising dei giochi no sex e la celebrazione di speciali giornate. Secondo l’Ocse, a 15 anni, quando devi decidere cosa fare del futuro, entrano in gioco due fattori: uno è la percezione di quello che è giusto per te e l’altro è legato alle aspettative dell’ambiente. E ci sono tre volte più aspettative che un ragazzo faccia ingegneria rispetto ad una ragazza. Insomma la scienza è un boy club: con una fetta di donne che fa biologia e medicina e pochissime che scelgono le materie più tecniche”.

 

E infine, come rammentano i pediatri, i piccoli tendono a emulare le proprie figure di riferimento. L’ultimo ma più importante dettaglio risiede proprio nell’immenso contributo che può arrivare dall’esempio genitoriale.

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