Medicina

Botulino, l’aiuto inaspettato per il bruxismo

di
Gaia Sancini
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Digrignare i denti durante il giorno e ancor di più di notte: il 15-20% della popolazione adulta soffre di bruxismo, un disturbo spesso legato allo stress, che ha ricadute dirette su sorriso e masticazione, innescando problematiche molto diffuse al di fuori del cavo orale. A parlare delle conseguenze del bruxismo e dei rimedi messi a disposizione dall’odontoiatria moderna, è il professor Stefano Scavia, docente all’Università Statale Bicocca di Milano.

 

Cosa accade dunque quando digrigniamo i denti? «Nel tempo – spiega Scavia – le dimensioni trasversali del viso si modificano come conseguenza di una stimolazione continua da parte dei muscoli masticatori. Si innescano così frequenti fastidi e dolori alle articolazioni temporo-mandibolari, accompagnati dall’usura dei denti negli anni. Come per ogni patologia, è importante intercettare i primi segnali del bruxismo e correre ai ripari, magari utilizzando da subito una mascherina protettiva o un vero e proprio bite nei casi in cui le dimensioni verticali dei denti si siano già ridotte. Il bite aiuta a compensare il lavoro dell’articolazione e a far riposare i muscoli» Il bite, però, può non essere sufficiente: «Laddove la situazione sia invece più complessa, con una perdita sostanziale di tessuto dentale e con modificazioni dell’occlusione e della masticazione del paziente, si potrà procedere con metodiche tradizionali (come la realizzazione di corone dentali) o con le nuove tecniche di odontoiatria adesiva additiva (verranno realizzate faccette o intarsi per ricostruire il dente danneggiato senza sacrificare ulteriore tessuto sano)».

 

Denti danneggiati ma non solo. Gli effetti del bruxismo sono molteplici. Provocano mal di testa ricorrenti, tensioni muscolari, dolori cervicali, nevralgie. Per questo non basta proteggere la masticazione e, diciamo così, ripararla. Serve anche ridurre o eliminare la disfunzione: «La nuova frontiera – prosegue Scavia – è nelle iniezioni della tossina botulinica di tipo A (BoTN-A) nei muscoli pterigoidei, masseteri e temporale, sfruttando l’effetto di parziale paralisi muscolare transitoria. Tale effetto in medicina estetica è frequentemente ricercato; esistono anche altre applicazioni cliniche per patologie come il blefarospasmo o lo strabismo, ma se rientrasse nella evidence-based medicine anche il suo utilizzo in odontoiatria, esso potrebbe cambiare il destino di molti pazienti. Una recente revisione della letteratura, pubblicata sul Clinical Oral Investigation sostiene che tale terapia sia in grado di minimizzare i sintomi e ridurre l’intensità delle contrazioni ritmiche masticatorie (RMMA), piuttosto che la patologia in sé».

 

In sintesi, l’impiego del botox in odontoiatria gnatologica, consentirebbe di affiancare gli approcci tradizionali, come la protezione dei denti da ulteriore usura, la riparazione dei danni già presenti e la cura dei sintomi extra-orali, come emicrania, cervicalgia etc., integrando un supporto efficace in grado di controllare e arginare la disfunzione. Tutto questo concretizzerebbe un decisivo passo avanti nella gestione di un problema così diffuso e frequente e delle sue spiacevoli manifestazioni sistemiche.

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