Apocalisse in Turchia: economia fragile e terrorismo. Voto alle porte, Erdogan rischia

Il presidente turco si presenta alle elezioni di giugno con due problemi in più: sfollati e ricostruzione

Ha abituato la comunità internazionale a vederlo come vincente, assertivo, in grado di mediare fra grandi potenze e fare sentire la sua voce a tutti i più importanti tavoli internazionali. Ma questa volta, per il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, la faccenda è seria e per più motivi. Se, di norma, una nazione non vorrebbe mai vedere il proprio territorio nazionale colpito da una calamità del genere con un bilancio tanto tragico, il terremoto dell’altra notte si è verificato nel luogo più critico per ‘il Reìs’ e in un momento particolarmente nevralgico. La zona interessata dal sisma fa parte del cosiddetto ‘Kurdistan’ turco. Regioni molto popolose, povere, piegate da anni di guerra fra il Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, e lo Stato turco e che, nonostante le loro ricchezze, sono rimaste indietro rispetto al resto del Paese, che, al contrario, ha goduto di anni di grande sviluppo.

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In più, è la parte della Turchia che ha maggiormente risentito del massiccio afflusso di siriani negli oltre 10 anni di guerra civile. Città come Sanliurfa e Gaziantep hanno visto, in pochi anni, i loro centri storici cambiare, con massicce opere di restauro e la nascita di nuovi quartieri, apparentemente moderni e funzionali. Nello stesso tempo, però, le loro periferie si sono riempite di persone disperate, scappate da una guerra che non lasciava loro altre scelta se non la fuga e ospitate in centri di accoglienza inadatti ad accogliere quel numero così ingente di rifugiati. Già così, il sud-est turco del Paese, rappresentava per il presidente Erdogan la sfida maggiore da affrontare in vista del voto per scegliere il nuovo capo dello Stato e che, da calendario costituzionale, si deve tenere entro il 18 giugno. Adesso, il capo dello Stato si trova davanti a un disastro che ha come precedente solo il tragico terremoto del 1999, quando i morti nell’Ovest della Turchia furono 17mila, e per giunta in un momento in cui l’economia nazionale, da sempre il suo fiore all’occhiello, è in una situazione critica.

Da mesi l’inflazione ha raggiunto livelli mai visti prima, facendo segnare un +57% su base annuale a gennaio. Valore inferiore rispetto all’autunno, ma pur sempre elevato e con conseguenze importanti sui consumi e sulle aziende internazionali. A questo va aggiunta la svalutazione della moneta, la lira turca, della quale hanno risentito molte società, soprattutto quelle che hanno esportazioni ad alta intensità di importazioni. Se si considera anche l’incertezza legata alla situazione internazionale contingente, per Erdogan sono solo cattive notizie. Vanno poi aggiunti due fattori importanti, strettamente correlati fra di loro. Il primo è quanto costerà la ricostruzione e il ricollocamento degli sfollati, che si contano a decine di migliaia. La Diyanet, l’Autorità per gli Affari Religiosi, ha messo a disposizione gli ambienti nei comprensori delle moschee di tutto il Paese, ma è chiaro che può trattarsi solo di una situazione momentanea.

Il secondo riguarda le polemiche circa i criteri con cui sono stati costruiti i palazzi crollati come castelli di carta, e che sono quasi 2.500. Già in occasione del terremoto di Van, sempre nel Sud-Est del Paese, nel 2011, quando erano morte 602 persone, l’allora premier era stato travolto dalle critiche perché alcuni palazzi che erano stati devastati dalla scossa, avevano pochi anni di vita ed erano stati costruiti dietro il permesso del Toki, l’Authority che autorizza i cantieri edilizi, considerata la cassaforte di Erdogan e del suo cerchio magico. Segno che non erano stati costruiti con i criteri antisismici richiesti in quella che è una zona a rischio molto alto.

Ma, 12 anni fa, il potere di Erdogan era all’apogeo, era considerato un leader ancora giovane e con molto da dare e soprattutto l’economia faceva segnare tassi di crescita quasi paragonabili a quelli cinesi. Oggi, è diverso. Anche per questo ha deciso di assumere ilcomando della Protezione Civile. Il presidente, che gode ancora di una base di consenso molto forte, è visto come quello che, dopo un’epoca di grande sviluppo, ha dato vita a una virata autoritaria nel Paese, e, con il sistema presidenziale, accentrato tutti i poteri nelle sue mani, con tutte le conseguenze sui diritti umani fondamentali, soprattutto quelli delle minoranze, come i curdi, e sulla libertà di stampa. Erdogan si avvicina alle elezioni di giugno con un Paese impoverito, dove pesa l’incubo della guerra e del terrorismo di matrice islamica e curda e adesso anche straziato da un sisma devastante.