Congo, giallo sull'omicidio Attanasio. "Primi arresti" (ma risalgono a marzo)

L'ambasciatore fu ucciso in un agguato il 22 febbraio insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci. Il presidente congolese Félix Tshisekedi: "C'è un'organizzazione".

Luca Attanasio e Vittorio Iacovacci (Ansa)

Luca Attanasio e Vittorio Iacovacci (Ansa)

Roma, 22 maggio 2021 - Giallo sull'assassinio durante un agguato dell'ambasciatore italiano Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell'autista Mustapha Milambo. In un primo tempo il presidente congolese Félix Tshisekedi, citato dal quotidiano del Paese Actualité, ha parlato di primi arresti nel caso: "Ci sono sospetti che sono stati arrestati e vengono interrogati". E ha continuato: "Al di là di questi sospetti, c'è sicuramente un'organizzazione. Sono 'coupeurs de route' organizzati in bande. Hanno sicuramente dei protettori. Dobbiamo mettere tutti gli elementi in fila. Abbiamo la collaborazione dei servizi italiani e stiamo lavorando duramente". 

Ma a stretto giro di agenzia si scopre, stanto a fonti governative, che gli unici arresti effettuati in Congo per l'attacco di tre mesi fa "sono stati effettuati nel mese di marzo scorso" e non ce ne sono "di nuovi".  Le dichiarazioni rilasciate dal presidente Tshisekedi, viene precisato, si riferiscono genericamente a quanto fatto finora dalle Autorità congolesi nell'ambito delle indagini sull'uccisione dell'ambasciatore italiano.

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Tshisekedi, riferisce il giornale, ricorda Attanasio: "Conoscevo personalmente questo ambasciatore. E' terribile. Sono rimasto davvero sconvolto dalla sua morte. Mi motiva di più a cercare sospetti e soprattutto a porre fine a queste sacche di violenza nella parte orientale del Paese".  Sono tre le indagini attive sull'agguato che costò la vita a Attanasio, Iacovacci e Milambo lo scorso 22 febbraio: l'iniziativa del Dipartimento per la sicurezza delle Nazioni Unite, quella delle autorità italiane e quella della Repubblica democratica del Congo.

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Virunga: il parco polveriera

Teatro dell'agguato è il parco del Virunga, patrimonio mondiale dell'Unesco dal 1979, decretato in pericolo dal 1994. Il parco si trova nella provincia del Nord-Kivu nella Repubblica Democratica del Congo. Si tratta di un luogo unico per la ricchezza della sua biodiversità, famoso in tutto il mondo come remoto rifugio delle ultime specie di gorilla di montagna, ma è diventato una vera e propria polveriera in una regione storicamente instabile, al confine con il Rwanda, già teatro della cosiddetta grande guerra africana, combattuta tra il 1998 e il 2003.  Da allora il Virunga, uno spazio di 7.800 chilometri quadrati che ospita importanti popolazioni di elefanti, ippopotami, okapi e scimpanzè, è il covo di numerosi gruppi armati che minacciano il futuro della più vecchia area protetta di tutta l'Africa, in primis dei rangers che ne assicurano la protezione e di chiunque si avvicini e possa minacciare i loro interessi. Secondo un bilancio diffuso dalle stesse autorità del parco, negli ultimi 25 anni almeno 200 ranger sono stati uccisi al suo interno per difendere animali e civili, gli ultimi sei lo scorso 10 gennaio.  Un pesante bilancio che fa del Virunga l'area naturale protetta che ha pagato il più alto tributo di sangue al mondo proprio per la sua tutela. La maggior parte degli ultimi attacchi mortali compiuti ai danni delle guardie è stata messa a segno dai miliziani Mai-Mai, uno dei tanti gruppi armati che seminano morte nella regione e si contendono il controllo delle risorse naturali e minerarie. Questa vasta area nel cuore della regione dei Grandi Laghi, une delle più povere e densamente popolate dell'Africa, è ricca di risorse naturali che fanno gola ai diversi gruppi armati congolesi, ruandesi e ugandesi che vi hanno trovato rifugio negli ultimi 20 anni.