Pensioni, cosa cambierà. Verso proroga dell'Ape Social. Altra opzione: via tutti a 63 anni

Tra i dossier del nuovo governo, l’ipotesi di una nuova riforma previdenziale entro il 2024. Ecco le formule per consentire di lasciare il lavoro in anticipo con una decurtazione dell’assegno

Roma, 17 ottobre 2022 - Tre scenari per il futuro delle pensioni. La proroga secca delle attuali vie d’uscita anticipata per tutto il 2023. La proroga delle stesse, ma con una o più novità inserite in extremis , come Quota 41 o Opzione Tutti. Due soluzioni-ponte in attesa di mettere mano alla riforma complessiva del sistema, da approvare nel corso del prossimo anno. Sono queste le opzioni che si troverà sul tavolo Giorgia Meloni quando metterà mano al cantiere previdenza.

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Una manifestazione per le pensioni della Uil (Dire)

Proroga secca delle formule attuali

La soluzione più gettonata per il 2023 sul delicato capitolo delle pensioni è quella che passa dalla proroga degli attuali strumenti di flessibilità in uscita previsti e in scadenza a fine anno. A spingere in questa direzione il tempo ristretto a disposizione per avviare la concertazione con le parti sociali e arrivare entro poche settimane a un pacchetto complessivo di riforma. I lavoratori, dunque, anche per l’anno prossimo si troverebbero a poter contare su Ape sociale (uscita dal lavoro a 63 anni, con 30 o 36 anni di contributi, se si è disoccupati, disabili, si assiste un disabile o si svolge un’attività gravosa), canale precoci (pensionamento con 41 anni di contributi, se c’è stato lavoro durante la minore età e ci si ci trova nelle condizioni dell’Ape social), Quota 102 (pensionamento con 38 anni di contributi e 64 di età), Opzione Donna (uscita a 58-59 anni con 35 anni di contributi, ma solo per le donne e con penalizzazione sull’assegno).

Proroga con quota 41 oppure opzione tutti

Meloni, però, potrebbe anche rimettere in pista una vecchia ipotesi di Mario Draghi che implica l’estensione agli uomini di Opzione Donna, che a quel punto diventerebbe Opzione Tutti. In pratica, come accade oggi per le lavoratrici, anche i lavoratori dovrebbero poter accedere alla pensione a 58-59 anni e 35 anni di contributi, a condizione che accettino il calcolo interamente contributivo del trattamento: il che solitamente comporta un taglio dell’importo variabile a seconda degli anni di lavoro precedenti al 1995, un taglio che può andare dal 15 al 30 per cento. La Lega, però, potrebbe spingere anche per Quota 41, che permetterebbe il pensionamento con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età. A quel punto, potrebbe scomparire Quota 102.

La riforma del 2023

Quale che sia la soluzione immediata, si tratterà di un assetto provvisorio, in attesa della riforma complessiva del sistema che dovrebbe essere definita nel corso del 2023 per diventare operativa nel 2024. Il riassetto dovrebbe passare dal confronto governo-parti sociali e puntare alla definizione di regole destinate a durare. In questo quadro, è possibile ipotizzare la conferma strutturale di Ape sociale, canale per i precoci e Opzione Donna o Tutti, ma anche l’introduzione di un meccanismo generale di flessibilità che preveda la possibilità di lasciare l’attività a 63 anni, con una penalizzazione dell’1-2 per cento per ogni anno mancante ai 67 anni di età. Nel menù delle novità, però, non dovrebbe mancare la cosiddetta pensione di garanzia per i giovani. Si tratterebbe di introdurre un livello minimo di assegno (mille euro) al di sotto del quale la pensione non dovrebbe scendere, al di là dei contributi versati. Si tratterebbe di un modo per venire incontro ai giovani che svolgono carriere discontinue o ricevono bassi salari.

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