La clausola del recesso alla prova dei "serial returners" nel commercio elettronico

La gestione del reso: un serio problema non solo per i venditori ma anche per chi acquista

Acquisti online

Acquisti online

Di acquisti online ve ne sono di tanti tipi: ve ne sono alcuni fatti dopo aver consultato, per giorni e con attenzione, blog, recensioni e comparatori di prezzo, ma ve ne sono altri frutto di una scelta d’impulso mentre si è seduti la sera sul divano, forse dopo aver seguito la diretta di un influencer o la puntata di una serie, dopo aver apprezzato una story su Instagram o un video su TikTok o persino dopo aver partecipato ad un gioco online o averne seguito il commento in streaming su Twitch.

Dalle dirette sui social  e su YouTube (il cosiddetto “live shopping“) ai contenuti pensati per valorizzare i prodotti taggati su Facebook, dai nuovi strumenti messi a disposizione dei creatori di contenuti per promuovere i prodotti dei partner commerciali al merchandising degli artisti su Spotify, i social media, dopo anni di sperimentazioni e fallimenti hanno forse individuato le modalità più efficaci per entrare nel mercato del commercio elettronico e differenziarsi da Amazon, dai marketplace, dai siti e-commerce, dai motori di ricerca.

Siti come Justfab che propongono un’esperienza simile a quella di Tinder per desumere le preferenze e personalizzare l’home-page adottano un approccio che potremmo definire di “discovery commerce” alla stregua di operatori come Stitch Fix che, sulla base di un quiz, offre un servizio ad abbonamento in cui il box presenta capi di abbigliamento e accessori che possono di volta in volta essere valutati per affinare i gusti e orientare le nuove proposte. Il successo dei video dedicati all’unboxing rivela infatti quanto è significativa la componente di sorpresa e gratificazione nelle esperienze di acquisto online.

Se Velasca integra parallelamente all’acquisto online la possibilità di ricorrere ad un assistente raggiungibile via WhatsApp, gli instant messenger e le chatbot stanno dando vita ad esempi di veri e propri “conversational commerce”.

Si acquista online dunque sia per soddisfare un bisogno che per appagare un desiderio, dal PC dopo aver maturato con proposito una scelta, ma anche dal cellulare in un momento di gratificazione personale, in modo ancora più facile ed immediato dello shopping del sabato pomeriggio. Ad essere legato a doppio filo con gli acquisti d’impulso è però il fenomeno dei serial returners ovvero di coloro che ricorrono in modo costante al reso, anche perché spesso gratuito, sia dopo aver acquistato più taglie per conservarne la più adatta sia dopo avere indossato una volta un capo di abbigliamento per poi restituirlo: non stupisce dunque che importanti operatori della moda online come Asos, Zalando e la stessa Amazon abbiano introdotto regole volte a sospendere gli account che eccedono in tali comportamenti.

Come commenta Andrea Spedale, Presidente di Aicel, l’Associazione Italiana del Commercio Elettronico, “la gestione del reso è un serio problema non solo per i venditori. In alcuni consumatori, anche per via di pratiche commerciali aggressive di alcuni big player, esiste purtroppo la falsa convinzione che il reso non abbia un costo. In realtà i costi per il venditore sono elevati: il trasporto, la logistica, il controllo del bene reso, la verifica integrità prodotto, la diminuzione di valore del bene, il riconfezionamento, il nuovo packaging e il nuovo imballo. Oltre ai costi che andranno in carico al venditore, esistono poi una serie di costi indiretti che invece andranno in capo alla collettività: inquinamento per doppi trasporti, consumi di suolo per la creazione di logistiche, smaltimento imballi.,..”.

“Tutela indispensabile per il consumatore che ha la possibilità di “ripensarci” restituendo il prodotto e chiedendo il rimborso di quanto speso” conclude Spedale, “il ricorso al diritto di recesso in situazioni diverse da quelle previste originariamente dal legislatore è però una forzatura del sistema che può essere risolta solo facendo comprendere agli attori la necessità di un utilizzo etico e consapevole di questa tutela. Il recesso non deve essere considerato infatti la scialuppa di salvataggio per acquisti di impulso o di comparazione prodotti nè tanto meno deve essere utilizzato come leva di marketing per incentivare l'acquisto”.

Il reso gratuito che negli anni passati ha dunque rappresentato un volano di fiducia e quindi di crescita del commercio elettronico è oggi infatti una delle cause della sua dubbia sostenibilità ambientale: secondo il recente Sustainability Report di RetailX, il 37% dei consumatori intervistati si dichiara però consapevole degli effetti dell’e-commerce ed il 43% degli acquirenti afferma di tenere in considerazione le opzioni disponibili per ridurre l’impatto prodotto dalle consegne, con un dato ancor più elevato (il 60%) nella fascia di età 18-25. Questa rinnovata consapevolezza non può che fare bene perché incentiva una concorrenza verso l’alto all’interno di un mercato, quello dell’e-commerce, per sua natura giù competitivo e in crescita.