Sulla scuola due anni di bla bla. Il lunedì nero si poteva evitare

L’unica risposta che governo e regioni sanno dare all’emergenza è la Dad. Ecco le promesse non mantenute

Una protesta contro la didattica a distanza

Una protesta contro la didattica a distanza

Partiamo da una osservazione, quasi un’ovvietà: non c’è organizzazione della nostra società altrettanto complessa della scuola. Istituzione fatta di strutture materiali, personale di diverse categorie, oltre a elementi non trascurabili come gli alunni e le loro famiglie, variabile quest’ultima spesso più incontrollabile di una Omicron. Istituzione attorno a cui ruota in stretta connessione il mondo dei trasporti, quello della sanità, per non parlare della politica. Se ci metti pure un’epidemia, è chiaro come il ritorno in aula porti con sé una quantità di problemi. Ma anche un interrogativo.

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Né aule né FFp2 e molti docenti tifano Dad

Non era possibile fare in modo che questa quantità di problemi fosse minore, e che oggi si vivesse solo un giorno difficile e non quello dell’apocalisse? La risposta, onestamente, è si. Intanto ribadiamo che la scuola si fa a scuola (è successo anche in guerra) e che troppa didattica è già stata fatta a distanza. Un nodo che pare essere sfuggito agli ultimi governi. Che hanno provveduto ai banchi a rotelle, ma non agli impianti di areazione o a fornire le necessarie mascherine FFP2. Roba che costa, certo. Ma come disse Draghi, c’è il debito buono e quello cattivo. Questo sarebbe stato sicuramente buono. E se un nodo sono le cattedre vuote causa Covid, sono vuote sia per la presenza, sia per la Dad. O no?

Il sindaco di Nola chiude anche le Superiori

Semmai c’è da osservare come il personale della scuola sia particolarmente fragile se i presidi ipotizzano 100 mila assenze (80 mila docenti) il 10 per cento di tutta la categoria. Può darsi che in questa fragilità giochi anche il dato che spesso ricorda l’economista Giuliano Cazzola: in Italia gli allievi sono soprattutto al Nord, e gli insegnanti vengono soprattutto dal Sud. Il che provoca difficili transumanze e altrettanto difficili rientri, in particolare in coda ai periodi festivi come questo.

False promesse. I bus supplementari nessuno li ha visti

Quanto a transumanze, anche gli studenti (e i pendolari) ne sanno qualcosa. Certo i mezzi pubblici non possono essere moltiplicati come i pani e i pesci; ma quei pochi autobus in più messi in servizio negli orari di punta, orari non a sorpresa, ma sempre quelli e sempre nelle stesse tratte, dunque programmabili, non hanno sciolto il nodo affollamento. Anche gli stuart alle fermate sono stati un filtro relativo. Insomma, diciamo che le arterie che hanno collegato casa e scuola sono rimaste troppo intasate, quasi a rischio collasso. Certamente a rischio pandemia

Sui banchi fino a fine giugno il grande tabù

Cattedre vuote, banchi vuoti. Ma non tutti. Ci sono anche migliaia di ragazzi che si sono vaccinati per la propria salute e per poter vivere una normale vita associativa. Perché devono essere di fatto puniti, chiusi in casa come gli altri? Se l’insegnate è presente, possono stare in classe i vaccinati, e collegati da casa i non. Il problema privacy? Una questione di lana caprina: la scuola ha il diritto di sapere chi ha fatto la dose e chi no. Stop. Ultima notazione. Se si decidesse di posticipare l’apertura a metà gennaio, è una bestemmia ipotizzare che la chiusura avvenga a fine giugno? Parliamone.

Regole cervellotiche e Asl inefficienti. Incubo quarantene

Certo, la burocrazia non sta aiutando. Anzi. Ci sono migliaia di persone in buona salute, tra cui battaglioni di studenti e docenti, bloccati in casa dalle regole cervellotiche sulle quarantene, stabilite al centro, corrette in periferia, incasinate ovunque. Una preghiera: semplificate! Se poi aggiungiamo molte Asl in tilt, spesso si fa prima a diplomarsi che ad avere l’esito di un tampone, e dunque è inevitabile che i vuoti della scuola, ma non solo, diventino voragini.

Hub chiusi troppo presto. Terze dosi in ritardo

Già che parliamo di sanità, due notazioni al volo. Prima: in molti casi gli hub sono stati chiusi troppo presto ritardando sia le terze dosi, sia le prime dei "renitenti" e dei giovani, cioè degli studenti. Seconda, più generale: a ogni ondata siamo daccapo. Reparti ingolfati, altre terapie bloccate, personale che cala invece che aumentare. Le Regioni battono cassa, il Governo fa quello che può. Forse non abbastanza. Di riforma della sanità non si parla, e il territorio si spopola di medici di base. Un ultimo dato (altri ne troverete nelle prossime pagine): nel 1981 in Italia c’erano 530 mila posti letto, nel 2017 erano 191mila. Un terzo. Buon ritorno in classe.