Reggio Emilia: il solito locale, i miei amici e lei. Vi racconto le ultime ore di Cecilia

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La foto postata da Cecilia sui social che hanno armato la mano di Mirko Genco

La foto postata da Cecilia sui social che hanno armato la mano di Mirko Genco

Reggio Emilia, 20 novembre 2021 - Una foto tra amici, con le mani strette a cuoricino mentre sorridiamo al cellulare, è l’ultima immagine che rimane di Cecilia. Un gesto sciocco, fatto per scherzo. Mentre scrivo mi rendo conto che quello scatto, l’ultima traccia di un attimo di felicità, ancora per qualche ora rimarrà sulla mia story Instagram e sulla sua, per poi svanire nella notte. Proprio come è successo a Juana Cecilia Loayza, 34 anni, orrendamente uccisa un paio d’ore dopo. Proprio quella foto, ha raccontato poi il suo assassino, ha fatto scattare la follia omicida e la voglia di punirla.

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La foto postata da Cecilia sui social che hanno armato la mano di Mirko Genco
La foto postata da Cecilia sui social che hanno armato la mano di Mirko Genco

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Cecilia arriva nel nostro ’covo’, un locale in via Guasco, nel centro di Reggio Emilia, quando il freddo emiliano si fa pungente, attorno alle 22. L’accompagna un gigante buono, ex rugbysta dal sorriso tenero, uno dei ’nostri’. Anche lui è di origini sudamericane come lei. Ci racconta di averla conosciuta quest’estate alla Trattoria Filippini, un ristorante appoggiato sulle colline attorno ad Albinea. E qualche giorno fa lei gli chiede di uscire, di farla svagare. Ne aveva bisogno Cecilia. Arrivata dal Perù qualche anno fa, giovane mamma single, per tanto tempo disoccupata, poi perseguitata da un ex crudele e possessivo. Ma finalmente stava vedendo la luce.

Così il nostro amico la va a prendere e la porta lì con noi, dove sapeva di giocare in casa. E infatti la serata decolla subito. Lei è spensierata, divertente, sta allo scherzo anche quando qualcuno azzarda qualche ’chica’ e ’guapa’ di troppo. "Dove l’hai imparato lo spagnolo?", chiede al barista che ha vissuto a Tenerife. Dopo mezzora c’è già chi le chiede il numero di cellulare. Era bella Cecilia, con quei delicati tratti indios, stretta in un lungo cappotto di lana bianca. "Martedì sera cena tutti insieme", scherza qualcuno di noi. Lei, ovviamente, è invitata. "Io ci sono, certo! Tutti a casa sua!" scherzava indicando l’amico in comune. La festa mobile continua tra dentro e fuori il locale. Gente che arriva e si presenta, una sigaretta fumata di fretta nel freddo umido novembrino, uno ’shot’ di gin offerto dall’amico barista per scaldarci un po’.

Mentre i calici si riempiono e si svuotano di vino rosso, Cecilia ci racconta di aver finalmente trovato lavoro. È riuscita anche a far arrivare a Reggio la mamma da pochi mesi. Una donna che adesso si trova in un Paese straniero, senza conoscere la lingua, con una figlia ammazzata sotto casa e un bimbo di un anno e mezzo da crescere. Il viso di quella creatura è il salvaschermo del cellulare di Cecilia. Ce lo mostra continuamente.

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C’è una sola crepa nell’immagine che tutti noi conserviamo di lei e di quel venerdì sera passato insieme: le continue, ossessive chiamate al cellulare da un numero sconosciuto. "È uno che mi stalkera – racconta al tavolo, scuotendo l’apparecchio come a volersene liberare – L’ho pure denunciato tempo fa. Non ne posso più".

Il dito scorre sullo schermo per rifiutare la chiamata. Poi un’altra. E un’altra. E un’altra ancora. Tra di noi c’è un amico avvocato. Le dice di bloccare quel numero. Che se lui si azzarda ad avvicinarsi scatta il Codice Rosso e sono grane. E si offre pure di scriverle una denuncia fatta per bene, per chiudere definitivamente la faccenda. Lei annuisce e scrolla le spalle. Gli fa anche ascoltare un messaggio vocale di lui: "Voglio vederti stasera, ti prego". Lei invece cerca solo un po’ di leggerezza per una volta.

Io vado e vengo da quel tavolo, ogni tanto la sento ridere e confessare al mio amico rugbysta: "Grazie, finalmente mi sto divertendo...". Arriva l’una di notte, il giorno dopo devo lavorare. Così decido di andarmene. Cecilia sorrideva anche quando ci siamo salutati.

E oggi cosa ci rimane? Soltanto lo sgomento tra noi amici. E la domanda che ci facciamo tutti quanti è soltanto una: e se l’avessimo accompagnata a casa noi?