Due Papi, due Chiese Lui difese la dottrina Francesco apre al mondo

I loro pontificati sono frutto di diagnosi diverse dei mali del cattolicesimo. Il teologo riaffermava la razionalità della fede, il gesuita combatte il clericalismo

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Sbaglia chi pensa che la linea e lo stile di un Papa dipenda da una adesione ideologica ad una posizione astrattamente ideologica, per cui i Papi conservatori conservano e i Papi progressisti progrediscono. Come ogni vescovo anche il vescovo di Roma prende posizione in base ad una diagnosi sul tempo, sulla Chiesa, sul mondo e con un vincolo interiore di fedeltà al vangelo che nei papati dell’età contemporanea è fuor di discussione

Non è dunque che la contrapposizione fra progressisti e conservatori sia fuor di posto, perché appartiene al misero mondo della politica: è fuor di posto quando non fa capire le ragioni che ispirano le scelte. Dipende infatti da una diversa diagnosi delle urgenze e delle criticità la divergenza fra i Papi e i papati, anche del Novecento, e fa torto a ciascuno dei Papi chi pensa che la continuità fra di loro nella professione di fede possa essere usata per smussare differenze che ci sono state fra i Papi che sono succeduti l’uno all’altro, sia fra due Papi come Benedetto XVI e Francesco che fino a pochi giorni fa hanno vissuto una simultaneità.

Ratzinger, le rappresentanze ai funerali: chi ci sarà

Ratzinger aveva una diagnosi per lui molto chiara dei mali della Chiesa e quando nel 1985 la esprime a Vittorio Messori, non si schermisce davanti all’idea che per rimediarli serva una "restaurazione". Per lui il ’68 e la cultura di allora – fascinata dal marxismo – avevano dirottato la ricezione del Concilio portandolo a una indulgenza verso forme della modernità. Dopo il feticismo della mediazione tipica di Paolo VI ci voleva, per Ratzinger, una riaffermazione della razionalità della fede, perché, come disse nel grande discorso al Convento dei Bernardini a Parigi del 2008, "una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda su Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi". Dunque da prefetto e ancor più da Papa Benedetto XVI riteneva necessario ridire senza sconti una verità che poteva essere ustionante (contro le persone omosessuali, contro il Profeta dell’islam, contro i teologi latino americani, ecc.) ma che solo così, affermandosi senza attenuazioni e sfidando l’avversario, poteva preservare almeno in una minoranza la fede nella sua ragionevolezza.

La diagnosi di Bergoglio era diversa: per lui la rigidità delle strutture ecclesiastiche ha imprigionato la forza vitale del vangelo. Quindi il clericalismo, la curia, le cordate (o come si diceva al conclave del 2013 "gli italiani") erano nemici interni da fustigare e disarticolare – come disse a Carlin Petrini – "facendo casino": e in questo ha messo la stessa energia e la stessa determinazione con la quale il predecessore aveva messo sotto processo uno stuolo di teologi (Gutierrez, Tillard, Sobrino, Vidal, e perfino Jacques Dupuis). Per Bergoglio questo ha voluto dire accettare una serie di scontri ovattati, prevedibili, ma durissimi.

Perciò la descrizione della grande stima e amicizia fra Francesco e Benedetto è un po’ stucchevole: fra di loro c’è stato il rispetto gerarchico che due uomini di Chiesa sanno usare, se ne sono capaci. E c’è stata una reciproca protezione: Benedetto disse infatti di sentirsi "protetto dalla bontà di Francesco"; ma è stato vero anche il contrario. Ratzinger ha assorbito le attese di rivincita antibergogliane e non si è mai prestato a chi cercava di usarlo contro Francesco; e ha protetto Papa Bergoglio. Ora più libero e più solo. Più libero di rinunciare per tempo, prima che un passo così possa apparire come un cedimento ai nemici; più solo davanti ad una opposizione che è normale per ogni pontefice, ma che in un carattere imperioso come quello del Papa gesuita potrebbe suscitare più sofferenze in chi la subisce e in chi la fa.