Marmolada, Reinhold Messner: "Ma quale fatalità. Non facciamo nulla per salvare la terra"

L’alpinista denuncia l’immobilismo di fronte al cambiamento climatico "Abbiamo vissuto per decenni con il mito della crescita infinita Ieri in cima alla montagna c’erano dieci gradi. È un’enormità"

"È una tragedia figlia del riscaldamento globale. Ma non possiamo lavarci l’anima dicendo che la colpa è del cambiamento climatico e pazienza, come se fosse un evento sovrannaturale e imprevedibile: in realtà la natura non ha mai colpa, la colpa è nostra che sappiamo benissimo che siamo responsabili del riscaldamento globale, ma che non facciamo nulla per invertire il trend. Abbiamo vissuto per decenni con il mito della crescita infinita, e questo è il risultato". Così Reinhold Messner, 78 anni, l’alpinista mitico, il primo a scalare tutti gli 8 mila e senza ossigeno. Parla senza filtri.

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Reinhold Messner, 78 anni, primo alpinista ad aver conquistato tutti gli Ottomila (Ansa)
Reinhold Messner, 78 anni, primo alpinista ad aver conquistato tutti gli Ottomila (Ansa)

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Messner le sue montagne si stanno sgretolando?

"È brutto da sentire ma grosso modo questo succede. Quello a cui assistiamo è parte di un cambiamento globale e tanti eventi come questo si ripeteranno. Tanti seracchi verranno giù, tante frane caleranno da versati ripidi non più tenuti fermi dal terreno ghiacciato, il cosiddetto permafrost, tanti ghiacciai continueranno a ritirarsi a ritmi accelerati, come accade in tutto il mondo. Tra 30-40 anni sulle Alpi di ghiacciai ne resteranno pochi. Sull’Ortles, il Monte Bianco, il Monte Rosa, qualcosa in Svizzera. Già ferite dallo spopolamento, le mie montagne sono sempre più sfregiate dal riscaldamento globale, ma questa è la realtà".

La slavina della Marmolada non è quindi una fatalità, come dice chi vorrebbe minimizzare.

"Ma quale fatalità. Ieri c’erano dieci gradi in cima alla montagna. Dieci gradi è una enormità. Non esiste".

Cosa significano temperature simili per un ghiacciaio?

"Significano la morte, e neppure tanto lenta. La temperatura alta accelera lo scioglimento del ghiaccio che viene corroso dal didentro: fa cadere i seracchi perché con questo caldo sotto il ghiacciaio circola molta acqua di scioglimento, veri e propri torrenti, e questa mina alla base i seracchi".

Le immagini della slavina mostrano che è caduta anche una grande quantità di acqua e pietre, non solo ghiaccio. Che significa?

"È normale per eventi di questa portata. La temperatura sale, e si accumulano grandi quantità di acqua fusa mista a ghiaccio e pietre. Il ghiaccio fa una diga, e infine crolla. Possono venire più dei pezzi come dei palazzi, che scendono con pezzi che si spezzano e diventano grandi come una stanza, poi come armadi, poi magari come una una testa umana, ma con la loro velocità e l’energia cinetica che hanno è quanto basta per uccidere una persona. E infatti".

Lei conosce bene quella montagna, quel ghiacciaio?

"Son passato da lì più volte negli anno ’60, quando facevo alpinismo alpino, e all’epoca c’era molto più ghiaccio, ora sono anni che non ci vado".

Che difese ha un alpinista da eventi simili?

"Un alpinista non ha alcuna difesa da un evento del genere. Quante volte sono sceso sul ghiaccio della Punta di Rocca, camminando e scherzando? Era facilissimo, era niente. Io non ho mai messo la corda scendendo da Punta di Rocca, era una discesa facile per un alpinista di una certa esperienza. Ma con l’aumento delle temperature quello che era niente dieci o anche cinque anni fa oggi può nascondere delle insidie mortali".

C’è stata una qualche imprudenza? Una sottovalutazione del rischio?

"Quando succedono incidenti alpinistici generalmente c’è sempre una responsabilità o corresponsabilità umana, ma in questo caso francamente non parlerei di colpa o imprudenza".

Perché?

"Io ho la sensazione che questi alpinisti sian saliti dalla parete sud, che è molto tecnica, il che vuol dire che sono bravissimi alpinisti, e poi siano scesi dalla Punta di Rocca. Ora, è vero che non devi passare sotto il seracco, è vero che sotto un seracco non si cammina e non si arrampica, ma se tu scendi ad una certa distanza, come credo facessero queste due cordate, non puoi vedere il pericolo, il pericolo lo vedi solo quando passi sotto. E la sola cosa che puoi fare se vedi che il seracco è poco stabile è essere veloce per minimizzare il rischio. Ma a volte non basta".

Sarebbe opportuno mettere dei divieti di salita o discesa di certe vie quando le temperature salgono oltre un certo livello?

"Io sono contro tutti i divieti in montagna. La montagna è l’ultima zona selvaggia su questa Terra, un luogo dove noi umani possiamo metterci alla prova. Se rubiamo alle nostre generazioni la possibilità di fare queste esperienze, rubiamo loro una grande libertà. Un alpinista bravo sa dove ci sono i pericoli, studia bene le via di salita e di discesa. L’arte dell’alpinismo sta nell’andare dove la morte è una possibilità, ma non morire. Noi alpinisti andiamo strutturalmente dove la morte è una possibilità. Lo mettiamo in conto. In questi posti abbiamo la possibilità di fare esperienze arcaiche. Se fosse una cosa del tutto sicura perché lo Stato, il soccorso alpino o chi per lui prepara le montagne in modo che non possa accadere nulla, allora diventerebbe una cosa sterile e io non salirei più. E come me tanti altri".

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