ANTONELLA COPPARI
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Coronavirus, la ricercatrice: "Così l'ho isolato"

Concetta Castilletti è una delle virologhe dello Spallanzani autrici della scoperta: "Siamo tre donne, abbiamo lavorato giorno e notte"

Concetta Castilletti, Francesca Colavita e Maria Rosaria Capobianchi nel team

Concetta Castilletti, Francesca Colavita e Maria Rosaria Capobianchi nel team

Roma, 3 febbraio 2020 - «Non c’è ancora il vaccino ma ora saremo in grado di combattere meglio questa infezione di cui ancora si sa molto poco". Non nasconde l’enorme soddisfazione la dottoressa Concetta Castilletti. È una delle ricercatrici dello Spallanzani che sono riuscite nell’impresa di isolare il nuovo coronavirus responsabile di centinaia di morti e decine di migliaia di contagi. "Abbiamo iniziato a lavorarci appena è arrivata la notizia di questa particolare infezione alle vie respiratorie che si stava diffondendo in Cina. L’abbiamo sempre seguita da vicino: prima mettendo a punto i test diagnostici e poi lavorando sui campioni clinici dei due malati ricoverati da noi. E venerdì scorso abbiamo capito che eravamo riusciti a isolarlo".

Un risultato enorme. "Assolutamente. Avere un virus significa usarlo non solo per cercare anticorpi specifici ma anche per capire come risponde il sistema immunitario del paziente".

Quanto ci vorrà per trovare una cura? "Guardi, si sta già lavorando per capire se gli antivirali esistenti funzionano per questo virus".

E per la prevenzione? Servirà tanto tempo per trovare un vaccino? "Parliamoci chiaro: quella dei vaccini è una ricerca complessa, un lavoro delicato. Servono studi accurati, visto che poi vanno somministrati alla popolazione. Ci vorranno mesi"

C’è differenza fra l’isolamento che avete fatto voi allo Spallanzani e quello che è stato fatto in Cina, Francia, Giappone e Australia? "No. Non c’è nessuna differenza. Pure loro hanno usato le stesse cellule. L’isolamento è un metodo che non si usa più nella routine diagnostica: lo eseguono ancora solo alcuni laboratori altamente specializzati come il nostro, che lavorano per avere il virus a disposizione per poterlo studiare e quindi poter sviluppare nuove tecniche di cura".

In concreto: come si fa? "Si prende un campione positivo al virus, si prepara e si mette in cultura sulle cellule vive, sperando che venga fuori un effetto citopatico, indice della presenza di virus. Noi siamo riusciti a farlo crescere in vitro, quindi a propagarlo. Adesso continuiamo a seguirlo per aumentarne la quantità e poterlo utilizzare per la messa a punto, tra l’altro, di test sierologici".

Usa il plurale: è stato un lavoro di squadra? "Sì. Tutto il laboratorio di virologia dello Spallanzani si è impegnato in questa corsa per cercare di mettere a punto la diagnosi e quindi contenere l’epidemia. Nello specifico, Francesca Colavita (ricercatrice “precaria”, con un contratto a tempo determinato, ndr) ed io abbiamo seguito più da vicino l’isolamento".

Molti però lavorano su questo virus. Voi come siete riusciti a isolarlo? "Coccolando le cellule, bisogna volere loro bene", ride la dottoressa. Poi torna seria e continua: "Bisogna capire quando stanno male, se hanno bisogno di un cambio di terreno".

Un lavoro che richiede costanza e impegno. "Sì, infatti. Il laboratorio è aperto giorno e notte. Noi facciamo i turni, abbiamo orari che non rispettiamo ma per passione. Per questo non stacchiamo mai".

Lei è sposata e ha due figli: non saranno stati molto felici di tanto impegno. "Forse. Però adesso cominciano a capirmi".

Lo Spallanzani è considerato un’eccellenza italiana. "Ed è così. Io sono molto orgogliosa di lavorarci. È il massimo per un virologo: in Italia ci sono solo due o tre laboratori come il nostro. Mi reputo una persona fortunata. Lavoro in un istituto monospecialistico straordinario e con un bel gruppo".

Come è arrivata in questo istituto? "Mi sono laureata in biologia a Catania, quindi mi sono specializzata alla Sapienza di Roma in microbiologia e virologia. In quest’università sono cresciuta con la professoressa Maria Rosaria Capobianchi: quando lei è andata via da lì, io sono passata all’Ifo. Salvo poi ritrovare la mia “mamma” qui allo Spallanzani, dove lei dirige il laboratorio di virologia ed io sono un dirigente strutturato".

Non è vero dunque che tutti i cervelli sono in fuga: alcuni restano in Italia. "Tanti restano. E altrettanti ritornano. Certo, i fondi della ricerca non sono tantissimi e non è facile lavorare così. Però poi quando arrivano risultati come questi la soddisfazione è enorme".