Il ragazzo, che di nome faceva Caspar Jansen, la fissava con sentimento che avreste anche potuto chiamare desiderio. La ragazza, che un nome certo mai aveva avuto, in compenso esibiva un riconoscibile orecchino di perla e pareva ricambiare lo sguardo, pur essendo a tutti chiaro che un quadro non prova sentimenti.

Il ritratto firmato da Johannes van der Meer, più noto con il nome di Jan Vermeer, dispensava in ugual misura fascino e mistero al cospetto della folla accorsa a Palazzo Fava, Bologna. La “Ragazza con l’orecchino di perla”, fiera anche di un misterioso turbante di seta blu, finalmente si mostrava e pur non trattandosi di una regina, ma di popolana di ignote origini, tutti a lei s’inchinavano. L’occasione era rara. Per la folla, che mai l’aveva vista. E anche per il giovane Caspar, olandese, che tra tutta quella gente si nascondeva. Era la prima volta che il celebre dipinto arrivava in Italia, trasferta d’eccezione per un’esposizione mai realizzata prima: dal museo Mauritshuis, in Korte Vijverberg, a L’Aia, fino al nobile palazzo bolognese di via Manzoni. Novecentonovantuno chilometri in linea d’aria: un bel viaggio per il quadro di Vermeer. E anche per Caspar Jansen, pur considerando che sarebbe stato più corretto chiamare tutto questo con il suo nome più vero: fuga. E quanto all’occasione, poteva addirittura definirsi unica: in Olanda il ragazzo, considerato quanto accaduto, sicuramente non poteva più rimettere piede.

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Pur essendo tutti disposti ad ammettere che le coincidenze assomigliano a sbavature di colore – andrebbero tolte ma restano per sempre – bisogna anche dire che ancor oggi desta stupore il racconto di come questa storia cominciò, tra dipinti enigmatici e amori irrisolti. Per pura coincidenza Caspar Jansen era al museo Mauritshuis davanti alla “Ragazza con l’orecchino di perla” di Vermeer quando la vide per la prima volta. Lui guardò prima il quadro e poi la ragazza in carne e ossa. Lei fissò innanzitutto lui, ma subito dopo il dipinto. E disse soltanto:

Sì, lo so: mi assomiglia”.

Aspettò un altro poco per aggiungere:

Molto”.

Caspar non esitò un secondo per precisare ciò che gli appariva evidente:

Troppo”.

Si chiamava Claudia Carracci, italiana. Quando, dopo essersi presentata, disse anche il nome della sua città d’origine, “Bologna”, Caspar Jansen non colse alcuna coincidenza. Non poteva. Era troppo presto. Disse solo:

Il mio nome è Caspar”.

E non fu fatalità, ma un trucco del destino se subito si innamorarono l’uno dell’altra.

Claudia portava abitualmente un turbante di seta blu a raccogliere i capelli biondi e mai avreste saputo dire se di emulazione artistica si trattasse o semplice malizia. Un altro particolare, però, appariva significativo. E sarebbe stato riduttivo definirlo solo coincidenza: un orecchino di perla luminescente appeso al lobo sinistro.

Lo sai come Jan Vermeer ottenne l’effetto naturale della perla sulla tela?”, le chiese una volta lo studente d’arte Caspar Jansen, fissando l’orecchio dell’amata.

No”, rispose Claudia e il suo tono, nel dirlo, parve assai poco naturale.

Due sole pennellate a forma di goccia. Separate l’una dall’altra – spiegò Caspar – E’ in questo modo che l’occhio di chi guarda ha l’illusione di vedere un’unica, intera perla”.

Un trucco, dunque?”.

Direi, piuttosto, un modo per vivere meglio”-

E le illustrò la sua teoria del saper vedere. E di tutto ciò che appare e invece è. E aggiunse dell’altro – ma fu uno sbaglio – e se ne accorse subito, giusto nel momento in cui pronunciò le parole:

Per fare ritratti così realistici Vermeer usava la tecnica della camera oscura…”.

Che vuol dire?”, chiese Claudia, ora quasi impaurita, come chi teme la rivelazione di un segreto troppo intimo.

Significa che dipingeva ciò che vedeva attraverso un marchingegno fotografico. Per essere sicuro, così, di trovarsi il più vicino possibile alla realtà, ovvero a ciò che amava”.

Eppure non si è mai sicuri di ciò che si vede. Tutto è illusione”, concluse lei.

Caspar Jansen non rispose. Nei giorni successivi rifletté a lungo su quanto Claudia gli aveva detto. E su se stesso. E su quanto gli stava accadendo. E sulle coincidenze. E le illusioni. E su Vermeer e la sua maledetta camera oscura e la realtà che può inventare la finzione di un ritratto. Arrivò a una conclusione folle ma irrinunciabile: Claudia era figlia di un procedimento inverso. Il quadro aveva creato la realtà. Claudia era nata da una tela.

Fu nell’istante in cui scoprì tutto questo che la vita di Caspar Jansen cambiò. Non fu una coincidenza il fatto che in quello stesso momento Claudia Carracci sparì .

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Il ragazzo che di nome faceva “Caspar Jansen nato a L’Aia” – come riportavano le schede segnaletiche diffuse dall’Europol – fissava il quadro di Vermeer appeso nella sala grande di Palazzo Fava, a Bologna, con sentimento che avreste anche potuto chiamare paura. Era come se si aspettasse il peggio. Ma, in effetti, il peggio era già avvenuto. Quel che accadde in via Manzoni fu solo l’epilogo di questa storia dai colori troppo forti.

Quando gli agenti fecero irruzione in quel nobile palazzo bolognese, Caspar Jansen si portò istintivamente una mano all’orecchio sinistro. Quando lo ammanettarono fu costretto a mostrare ciò che nascondeva: un orecchino di perla.

Le indagini congiunte della polizia olandese e di quella italiana non ebbero bisogno di altre prove. Claudia Carracci era stata trovata morta, dopo giorni e giorni di ricerche, in un’anonima stanza in affitto a L’Aia – non lontano dal Mauritshuis – con indosso un impossibile turbante di seta blu, ma senza l’orecchino di perla che, secondo un’amica, la ragazza portava sempre con sé. La medesima testimone riferì anche che negli ultimi tempi Claudia si era confidata con lei usando le parole:

L’amore è solo un’illusione. Voglio lasciare Caspar. Anche se so che finirà male”.

Mentre lo portavano via da Palazzo Fava, lontano per sempre dal ritratto della “Ragazza con l’orecchino di perla”, Caspar Jansen pronunciò parole che la folla sentì distintamente e che a tutti sembrarono una semplice coincidenza:

Claudia, volevo solo rivederti un’ultima volta”.

Il senso della frase fu chiaro a lui soltanto.

                                                   Gianluigi Schiavon