Umiliare una persona è un delitto. Significa uccidere il suo amor proprio, spegnere come un cerino la sua forza vitale, fare a pezzi il rispetto che ha di sé. L’umiliazione punta dritto all’anima e la manda in frantumi. In un paese del Reggiano, qualche giorno fa, un ragazzo di 14 anni è stato circondato da una banda di altri adolescenti in un parco. La dinamica fulminea e implacabile del fatto rende evidente il meccanismo dell’umiliazione: il quattordicenne viene subito preso a pugni da uno della gang, scappa in bicicletta, viene raggiunto dal suo persecutore, buttato giù dalla bicicletta, di nuovo picchiato, ancora pugni, e schiaffi. Basta? No, non è finita. Per un paradosso malvagio l’aguzzino costringe la sua vittima a inginocchiarsi e a chiedere scusa. E nemmeno ora è finita. Arrivano gli altri della banda, filmano il ragazzo con le ginocchia piantate sull’asfalto e l’espressione stravolta nell’implorare perdono. Il video viene diffuso in Rete, diventa virale, si moltiplica di post in post, per un pubblico invisibile e crudele. Solo così è finita. L’aggiunta di una platea il più ampia possibile è un certificato di garanzia per la gang: obiettivo raggiunto, l’umiliazione è compiuta.

Qualcuno l’ha chiamato cyberbashing, maltrattamento informatico, concentrandosi sullo strumento finale della storia, la diffusione sul web. Su Cyberpedia, sito specializzato, professionisti esperti di rischi tecnologici offrono questa definizione: “Lo scopo del cyberbashing è quello di avere potere sulla vittima, oltre che sentirsi riconosciuti come individui”. Di sicuro, in questa vicenda, a sentirsi individuo non è quello inginocchiato a chiedere scusa. E, al tempo stesso, se a ritenersi realizzato è il tizio davanti a lui toccherà interrogarsi sullo spessore dell’individuo stesso. Utile a questo punto cercare un’altra definizione. Umiliare, dalla Treccani: “Mortificare qualcuno offendendone e ledendone la personalità e la dignità così da causare in lui uno stato di grave disagio, avvilimento e vergogna”. Avanti. Mortificare, sempre dalla Treccani: “Ridurre in uno stato simile alla morte”. Ci siamo: simile alla morte. Ecco perché l’umiliazione è un delitto. E significa uccidere.

(Ps: l’aggressore è stato individuato e denunciato. All’aggredito ci permettiamo di dire che non dovrà mai sentirsi umiliato, ma fiero di aver resistito a vergogna e avvilimento).

Gianluigi Schiavon