John Harvey percorreva senza fretta il lungomare di Brighton e in quel momento non avrebbe scommesso mezza sterlina che la sua vita sarebbe cambiata. Oltre la balaustra il mare prendeva a schiaffi la sfavillante struttura in ferro, legno e luci al neon del Palace Pier, riservando identico trattamento a un altro molo mezzo miglio più a ovest, enorme costruzione ora usurata e scheletrica, ma nel progetto iniziale probabilmente somigliante alla prima, il West Pier, gemello senza fortuna.

Fu mentre rifletteva sulla doppiezza del destino che John Harvey vide quell’uomo. Se ne stava accucciato là dove la balaustra compiva un mezzo giro, delimitando così un piccolo spiazzo, lui era al centro, piegato sulle ginocchia, le mani protese al suolo indaffarate in un’occupazione frenetica che da lontano non si poteva indovinare. Intorno una piccola folla. Che l’incitava: “Rifallo, Joe!”. Il nome per esteso era Jonathan Lee Master. Ma tutti conoscevano solo il suo soprannome. Questo, naturalmente, prima che Jonathan Lee Master finisse sui giornali.

Mentre la sera se la giocava a dadi con il giorno e il sole ancora non voleva cedere la partita all’imbrunire e ai lampioni, John Harvey pensò tra sé e sé: scommetto un’intera sterlina che prima del tramonto scoprirò chi è quell’uomo.

A John Harvey piaceva vincere facile. Bastava fare un altro centinaio di metri e la verità sarebbe stata sotto gli occhi di tutti. Tranne che i suoi. Quando gli si parò davanti, Joe non lo degnò di uno sguardo. Era impegnato: tra le mani tre campanelle di latta che vorticosamente posizionava su un tappetino giallo steso sul marciapiede, cambiando continuamente l’assetto e l’ordine, prima campanella, seconda, terza, ora la seconda, poi la prima e la terza e poi la terza che va al posto della seconda che va dove era la prima. Di tanto in tanto, tra un passaggio a caso e l’altro, Joe sollevava una delle campanelle per mostrare una pallina di cera gialla proprio come il tappetino.

Ebbene, dove è la pallina?”, chiese fermandosi improvvisamente.

La piccola folla, come un’onda irrequieta del mare che continuava ad agitarsi oltre la balaustra, all’unisono indietreggiò, si riavvicinò e di nuovo arretrò, incerta e pensosa. Poi un tizio con l’aria di chi la sa lunga si fece avanti per posare la punta della scarpa destra sulla campanella di centro.

Qui”.

Prima i soldi”, disse Joe esibendo 10 sterline.

Ecco le mie”, fece il tizio e tolse il piede.

Joe alzò la campanella, la pallina – gialla proprio come la vergogna di essere stata scoperta – era lì. Joe fece una smorfia e allungò le sue dieci più altre dieci. Il tizio lo sfidò: “Rifallo, Joe!”.

Joe fece un ghigno che poteva significare tutto. Sistemò tappetino e contenitori, mostrò la pallina, che platealmente infilò sotto la campanella al centro, e via: centro, lato destro, lato sinistro, sinistro, centro, destro, destro che resta destro, centro scambiato con sinistro, e poi sinistro sinistro, destro al centro, centro che spodesta il sinistro…stop!

Dov’è la pallina?”.

Il tizio e il suo piede destro non ebbero tentennamenti. “Qui”. Joe scucì altre dieci sterline e altre dieci. Nuove sfide del tizio seguirono, altri soldi di Joe cambiarono domicilio, molti altri. John Harvey seguiva tutto quel movimento frastornato come un marinaio al primo viaggio, eccitato come un marinaio al primo porto, ubriaco come quello stesso marinaio alla sua ultima traversata. Finché il tizio non gli fece quella domanda:

Vuol provare lei?”.

E il marinaio John Harvey si imbarcò nell’avventura più pericolosa della sua vita, ci potete scommettere.

Stavolta facciamo 40 sterline”, disse tanto per cominciare Joe, che non appariva sereno.

Ok”, disse John Harvey senza capire il peso delle proprie scelte e dei soprattutto dei propri denari.

Sinistra, destra, centro, centro a destra, destra a sinistra, sinistra al centro, prima, seconda, terza, terza, seconda, prima, centro, prima, sinistra, centro, destra, terza e poi seconda. A John Harvey stava venendo il mal di mare, ma seguì ogni mossa con puntiglio da segugio e proprio per questo si sentì molto sicuro, estremamente certo del fatto suo nell’appoggiare la punta del piede destro sulla campanella al centro e urlare, mentre la folla indietreggiava:

Qui!”.

Joe fece una smorfia diversa dalle precedenti. Alzò la campanella e non mostrò alcuna pallina gialla. Quaranta sterline di John Harvey presero l’indirizzo di casa di Jonathan Lee Master, anche se nessuno sapeva ancora che si chiamasse così e, in verità, nemmeno dove abitasse. Ma se tutto fosse finito lì, la faccenda sarebbe stata anche sopportabile. Purtroppo John Harvey era testardo, e Joe di più. Alla fine della giornata, quando la sera aveva vinto la sua partita a dadi con il giorno, e il sole aveva perso la sfida contro imbrunire e lampioni e, insomma, il tramonto era passato da un pezzo, John Harvey aveva perso 520 sterline, l’equivalente fallimentare di 13 scommesse. E questo la prima sera. Non indovinerete mai l’esito, uguale e diverso nel personale bilancio finanziario di John Harvey, degli altri tramonti che seguirono. Per saperlo, varrebbe la pena di aprire altro tipo di scommesse.

Fu Alfred Pier a svelare il trucco. Quel cognome avrebbe dovuto metterlo sull’avviso, ma John Harvey – come al solito – non faceva mai caso ai presagi del destino. Alfred, solo Alfred per gli amici di Brighton, era il custode del Royal Pavilion e, occasionalmente, dietro adeguata dimostrazione di riconoscenza, anche guida della reggia estiva voluta a Brighton da quel gran dandy di Giorgio IV.

Fu mentre uscivano dal salone dei banchetti reali, dal cui soffitto pendeva minaccioso il grande dragone cinese voluto da quello stravagante di Giorgio IV, che Alfred chiese a bruciapelo:

E fin dall’inizio c’era lì un tizio con l’aria di chi la sa lunga?”.

John Harvey riuscì solo ad annuire, stupito dalle capacità divinatorie di Alfred, cui senza ragione aveva preso a raccontare le sue ultime disavventure finanziarie, forse più nella speranza di trovare consolazione prima ancora che una soluzione.

E qui – disse cambiando discorso Alfred, custode, guida e occasionalmente, se ben remunerato, anche confessore – siamo nella sala dove, dopo il banchetto i signori ospiti di quel gran viveur di Giorgio IV si ritrovavano tutti assieme. A parlare, bere e, soprattutto, a giocare. Il gioco, l’avrà notato, a Brighton è un’istituzione. Mai stato al casinò sul Palace Pier?”.

No, mi è bastato il lungomare”, rispose Harvey rigido come un pescatore paralizzato nello sforzo di riportare a riva la rete con dentro la preda, nel suo caso una risposta accettabile.

Venga, sediamoci qui – disse Alfred Pier, scegliendo due poltrone damascate del XVIII secolo – Tanto, re Giorgio non lo verrà mai a sapere”.

E le risposte cominciarono ad arrivare. E venne fuori per intero la storia di quel tizio che era sempre lì non tanto in veste di scommettitore incallito, quanto piuttosto nei panni di amico e sodale di Joe, il giocatore delle campanelle, e in ultima analisi, soprattutto nel ruolo di “procacciatore di allocchi”.

Senza offesa”.

John Harvey fece un gesto come dire: “Andiamo avanti”.

E venne fuori la storia, dettagliata, di quel tizio che, ovviamente d’accordo con Joe, invogliava i passanti a scommettere dopo che avevano visto lui poggiare il piede un sacco di volte, perdio, e di fila, pergiove, sulla campanella giusta. E dalla bocca di Alfred, custode di regge e segreti, guida e confessore ma soprattutto Gran Narratore, venne fuori anche la verità, inaudita e cruda nella sua interezza, che vincere alle campanelle era “matematicamente” impossibile perché “nel 99% dei casi la stramaledetta pallina mai si troverà sotto una delle tre strafottute campanelle!”.

John Harvey, sulla poltrona damascata di re Giorgio IV, sudava come quel gran gaudente di sovrano dovette sudare mentre si abbandonava a bisbocce e baldorie e a ben vedere non fu un caso se alla fine Sua Maestà lasciò prematuramente il Pavilion e la vita terrena, stretto d’assedio da gotta e porfiria, scatenate da un metabolismo ebbro e spossato dagli stravizi, come Alfred si infervorava a raccontare. John Harvey ripeté un gesto che forse fu anche di Giorgio IV , ma che in lui nulla aveva nulla di regale nell’implorare: “Andiamo avanti e facciamola finita”.

E da ultima venne così fuori la storia, completa e disarmante, dell’”impalmaggio”, disciplina in cui Joe era maestro indiscusso, poiché al mondo pochi altri ce n’erano che durante lo scambio di campanelle sapessero nascondere così perfettamente la pallina di cera tra medio e anulare e poi nel palmo, e al momento giusto sapessero infilarla alla chetichella là dove l’ignaro scommettitore mai si sarebbe aspettato di ritrovarla. E insomma – concluse Alfred, senza altri giri di parole – ecco spiegato perché nel 99% dei casi, e soprattutto nel caso di Joe, la pallina è sempre altrove rispetto alle tre campanelle e ricompare sotto una di esse solo a giochi fatti.

E ad allocco spennato. Senza offesa”.

John Harvey fece scricchiolare senza rispetto la poltrona regale mentre si alzava barcollante e indolenzito come un marinaio che ha perso la presa sulla rete. Fissò a lungo Alfred Pier, si senti travolgere da ondate di mille interrogativi, si lasciò docilmente consigliare dal custode-guida-narratore e chissà cos’altro, nello scartare la possibilità di una denuncia poiché mancano le prove e non sarà un caso se Joe è ancora lì e nessuno lo ha mai incastrato, nel rinunciare a vendicarsi a cazzotti perché Joe non è mai da solo, come sappiamo, e infine nell’abdicare a qualunque soluzione riparatrice come un re senza più scettro e coraggio. Finché John Harvey non si sentì chiedere, quasi urlando:

E allora, cosa posso fare?”.

Un’ultima scommessa”, rispose Alfred Pier, chiudendo alle sue spalle la grande porta a vetri d’ingresso del Royal Pavilion.

John Harvey percorreva senza più fretta il lungomare di Brighton mentre la notte confermava il proprio rango di regina incontrastata su tenebre e umane miserie. Era diretto al Palace Pier: lì l’aspettava non il casinò, ma Johnatan Lee Master in persona, detto Joe. Avevano deciso di darsi appuntamento in quel posto senza una ragione precisa. Harvey si voltò a guardare ciò che restava dell’imponente struttura del West Pier sopraffatto da incendi e crolli, e per un attimo pensò che somigliasse alla sua vita. Accelerò, all’improvviso gli era venuta voglia di chiudere la partita il più rapidamente possibile. E una volta per tutte.

Aveva bevuto. Percorse il molo pestando con rabbia sulle tavole di legno, scansando figure rannicchiate nel buio contro i corrimano in ferro battuto bianco, pensò a uomini che si erano giocati il tutto per tutto, ora cacciati dal casinò come insetti calpestati dalla sorte. Aveva bevuto, non ricordava quanto, certo abbastanza da trovare il coraggio di fare ciò che si era messo in testa di fare.

Lo riconobbe che era ancora lontano, in fondo al molo, oltre le ultime giostre e uno stand seminascosto di vecchie slot-machine: inquadrato da un cono di luce della luna, accucciato al centro di un piccolo spazio, piegato sulle ginocchia, le mani protese in avanti ma, a differenza di tutte le altre volte, inerti, come le campanelle immobili sul tappetino davanti a sé.

Accetti qualunque scommessa?”, chiese John Harvey, quando gli fu davanti, controllando il respiro e l’alcol che gli risaliva in gola.

Sì”.

Allora punto tutti i soldi che mi hai portato via in questi giorni. Ma se vinco non li voglio indietro. Se vinco, stavolta voglio in cambio la tua vita”.

Sì”.

E Joe non aggiunse altro in risposta, perché fu come se le sue stesse mani si fossero messe a parlare. E dicevano: campanella di destra va a sinistra, campanella di centro va a destra, campanella di sinistra va al centro, e poi la prima al posto della seconda che resta seconda mentre la terza diventa prima, ed ecco la pallina proprio al centro, ma ora è già a destra e ora a sinistra, eccola a sinistra, ma ora non più, è andata a destra o forse al centro, ma la campanella di centro ora è stata spostata a sinistra e lì resta mentre le altre due si scambiano ancora una volta di posto…A John Harvey girava la testa, non avrebbe dovuto bere così, quasi non sentì la domanda cui ormai avrebbe dovuto essere abituato.

Ebbene, signore, dove è la pallina?”.

Nonostante la notte regina, la luna invadente, il whisky traditore, John – per la prima volta in vita sua – si sentì sicuro del fatto suo come non mai. Quindi, lentamente, appoggiò la punta del piede destro sulla campanella di sinistra e disse:

Qui”.

Joe, il giocatore di Brighton, fece una delle sue indecifrabili smorfie, ma non la trattenne a lungo sul viso, la sua mano era già sulla campanella, la sollevò e:

Signore, lei ha vinto!”.

John Harvey fissava ipnotizzato la pallina gialla che la luce della luna faceva quasi brillare sul tappetino.

E ora pagherò il mio debito di gioco”, sentì annunciare.

Vide Joe alzarsi, avvicinarsi alla balaustra, per un attimo gli parve di scorgere addirittura tre figure una accanto all’altra, una uguale alla seconda e alla terza, tre Joe beffardi e per nulla spaventati all’idea di dover morire, ma fu soltanto l’eco di un tuffo, lo schiantarsi di un solo corpo tra le onde, quello che fu certo di poter ricordare per sempre.

La mattina di due giorni dopo, John Harvey leggeva l’“Evening Argus” comodamente seduto sulla terrazza del Grand Brighton. Dall’hotel poteva ammirare in ogni dettaglio il Palace Pier ad appena dieci minuti di strada. Ma più dello spettacolo dei turisti in processione verso il casinò e le giostre, fu quell’articolo in prima pagina ad attirare la sua attenzione. Il titolo diceva: “Avvistato in Costa Azzurra Jonathan Lee Master, il giocatore di Brighton: ha svaligiato il Royal Pavilion”. Il sommario aggiungeva: “L’uomo è sospettato di aver rubato il prezioso orologio della Sala della Musica con la complicità del custode, Alfred Pier. Rintracciato in Francia, è di nuovo riuscito a far perdere le proprie tracce”.

Mi ha fregato un’altra volta!”, gridò John Harvey, accartocciando il giornale. Ma poi sorrise. In fondo non ce l’aveva più con lui. Grazie a quel truffatore aveva vinto la scommessa più importante: la sua vita era finalmente cambiata. Anche se tutto questo gli era costato qualcosa di più di mezza sterlina.

                                                                      Gianluigi Schiavon