Rosso è il colore dei fiori di Giuda a Gerusalemme. Rossi sono i capelli di una bambina che guarda da un dipinto, appeso in una casa di Berlino. Il rosso s’addice alla passione, ma troppo spesso ricorda il sangue delle ingiustizie.
Ha tonalità forti e dense “L’amore occulto”, l’ultimo romanzo di Roberto Giardina, Giraldi Editore. L’azione ha due fronti, la Berlino di oltre 90 anni fa e la Gerusalemme di oggi, e in mezzo una corsa a ritroso nell’empietà della Shoah, in uno scambio continuo di tempi e controtempi, quando il passato presenta il conto al presente . È la storia di Julia e suo marito Manfred che nascosero una famiglia di ebrei in Germania durante le deportazioni. C’è Elia Montefiore, incaricato da un giudice ebreo di indagare su quegli anni per poter concedere a Manfred la nomina a Giusto fra i popoli. C’è Julia, costretta a rievocare ricordi dolorosi e inaspettati, invitata in Israele da Elia. E c’è Clea, figlia della coppia di ebrei perseguitati. che continua a vivere in un ritratto a casa di Julia in Germania e nella memoria incancellabile di ciò che fu Bene e Male, nello stesso momento e nello stesso luogo.
“L’amore occulto”, oltre che un dipinto sapiente tra storia e romanzo, è anche un omaggio alle donne che colorano le case, evitando il rosso impudico, come si schermisce Julia, le donne che cercano l’uomo sbagliato da sempre, o quando è troppo tardi perché possa diventare quello giusto. Dice Julia a Elia: “Noi donne non scegliamo in base a valutazioni concrete. Ci affidiamo all’istinto, e a volte si sbaglia”. L’amore, nelle pagine di Giardina, è accompagnato da un aggettivo giusto e crudele: occulto. Che in questo caso non vuol dire solo “nascosto”, ma soprattutto “segreto”, e quindi inconfessabile. Anche se, per paradosso, una confessione segreta libererebbe da una verità troppo a lungo custodita.
Clea, la bambina del ritratto, nella Berlino che diventava nazista cantava in un cabaret e sembrava un “Angelo azzurro”. Costretta alla “prigionia” nella villa di Julia e Manfred smette di cantare e cresce troppo in fretta e cerca spiegazioni in un mondo che oppone il nero della persecuzione ebraica al rosso dei suoi capelli. “Non hai un libro scritto da una donna?”, chiede a Julia, che sceglie Clea come la figlia che non ha. I sentimenti sono filo spinato in questa storia: lacerano la pelle di chi li tocca, e usa. Ma tengono insieme i contrasti, sorreggono le incongruenze, saldano il giusto e l’iniquo. E tutti, ebrei e tedeschi, e perfino i nazisti, mostrano alla fine il loro volto occulto. In questo, il romanzo di Giardina è anche provocazione, come la vita stessa. E non appare un caso il fatto che l’autore non riveli quanto questa storia sia vera, ma la presenti semplicemente come “raccontata da un amico, o da un’amica, anni fa”.
Il ritratto di Clea apre le pagine del libro e ritorna nel finale, annunciato da una rivelazione sconvolgente. Da quella tela i suoi occhi continuano a fissare il lettore, perché il rosso è il colore dei fiori di Giuda. E del tradimento.
Gianluigi Schiavon
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