Ich war dabei. Io c’ero, scrive Roberto Giardina, quasi con esitazione, sicuramente con rispetto per la storia e le sue vittime. Parla del Muro di Berlino, racconta il mostro nato la notte del 13 agosto 1961 nel cuore della metropoli, il mostro che spezzò la vita di una città, improvvisamente e crudelmente, come un infarto. “Violando una regola professionale scrivo in prima persona”, avverte l’autore de “Il Muro di Berlino – Il racconto di un’epoca attraverso le storie dei grandi e piccoli protagonisti”, Diarkos Editore. Poi aggiunge: “A volte, per capire la storia sono importanti le storie private”.

Così Giardina, da decenni corrispondente dalla Germania per il nostro giornale, ricorda 28 anni, due mesi, tre settimane e sei giorni di storia del secolo scorso, fino al grande Crollo, il 9 novembre 1989. Il risultato è un mosaico del Tempo, dove le tessere sono emozioni, eventi, memorie personali e non, cronaca di sogni fatti a pezzi e alla fine riuniti. Da un lato i fatti: quelli riguardanti direttamente l’epopea della Barriera che tagliò in due una città e il mondo e, insieme, gli altri avvenimenti, che scorrevano intorno a quell’ostacolo della Storia in quegli anni, tutti gli eventi principali, dallo sbarco sulla Luna, alla nascita dei Beatles, dalla Primavera di Praga a Che Guevara, da JFK a Wojtyla, dal primo governo Craxi all’avvento di Gorbaciov. Il mondo andava in scena e il Muro ne era al tempo stesso spettatore e protagonista.

E poi ci sono i ricordi di Giardina: il caporale Conrad Schumann che per primo saltò oltre il filo spinato e intervistato anni dopo disse “per miei parenti sono sempre stato un traditore” e, graziato dalla sorte dopo quel balzo al di là del Muro, finì con il suicidarsi. E il Cancelliere Brandt visto inginocchiarsi il 7 dicembre 1970 a Varsavia davanti al monumento per le vittime del nazismo nel Ghetto, e fu la prima crepa che si aprì nel Muro: la Germania stava cambiando. E l’attentato della Rote Armee Fraktion nella sede della Springer ad Amburgo al quinto piano dove nel 1972 stava l’ufficio di Giardina: il terrore si aggiungeva al terrore. I contatti e la relazione pericolosa con Markus Wolf, il super agente segreto della DDR, amante di intrighi e di belle donne, Mischa per gli amici e anche per i nemici. E ancora Ronald Reagan che il 12 giugno 1987, sotto la Porta di Brandeburgo, si appellò a Gorbaciov con una battuta da grande attore, quale non era mai stato: “Mr President, tear down this Wall”, tiri giù questo muro.

Il Muro verrà tirato giù, di lì a due anni, o poco più. L’appassionante rincorsa di Giardina attraverso il tempo è finita. Il caleidoscopio della Storia, dove i ricordi di una sola persona e i ricordi di tutti mescolano i colori, trova finalmente pace. Eppure, quel caleidoscopio non ha mai smesso di girare. Il Muro fu un infarto improvviso per una città che non meritava di morire. Ma avverte Giardina: Berlino, oggi, continua ad avere due cuori.

                    Gianluigi Schiavon