VIVONO lì da quasi due anni. Lì, nell’abitacolo della loro automobile, divenuta rifugio, casa, nido d’amore. Quell’utilitaria ferma al secondo piano di un parcheggio pubblico alle porte del centro storico di Reggio Emilia è tutto ciò che è rimasto loro. Assieme alla gattina Lucy, con cui da nove mesi condividono gioie e dolori. Vive lì pure lei, in macchina. Salta tra i sedili; le ciotole con i croccantini appoggiate sotto il lunotto posteriore. Uno scrigno pieno di umiltà e ostacoli, quel veicolo: tutto ciò che appare scontato nel quotidiano, per Lisa e Gabriel (li chiameremo così) di 27 e 25 anni, è diventato difficile. Difficile lavarsi, difficile mangiare, prepararsi qualcosa di caldo. Difficile sciacquare i panni, avere un minimo di intimità. Non volersi bene. Il loro sentimento supera gli ostacoli e diventa sempre più forte.

«ABITIAMO qui dal giugno del 2012 — spiega Gabriel, con una sincerità spiazzante —. Abbiamo scelto di proseguire la nostra relazione, nonostante la famiglia di Lisa fosse contraria. E così lei è stata cacciata di casa e noi ci siamo trovati senza lavoro e senza soldi. Senza sapere dove andare, senza un tetto sulla testa». Ma i loro parenti oggi non lo sanno; pensano che siano al caldo, sistemati. Per questo hanno chiesto l’anonimato. Hanno paura di ciò che potrebbe accadere.
Ma indietro non si torna. E l’auto sembra l’unica soluzione disponibile. Una soluzione temporanea, che dura però da 21 mesi.
Sono rimasti sempre lì, sotto le intemperie, sperando che qualcosa potesse cambiare. «Inizialmente abbiamo girovagato per diversi posti, cercando riparo. Ma da ogni parte venivamo cacciati. Non sta bene abitare in macchina, vicino alle case, ci dicevano. Non è decoroso. E chiamavano la polizia. Finché non abbiamo trovato questa soluzione. Qui è tranquillo, non ci hanno mai importunato, non diamo fastidio».

UN NON-LUOGO surreale, fuori dal tempo, quello. A due passi dalla città vecchia. Un parcheggio sempre deserto, soprattutto ai piani alti; qualcuno ha disegnato una riga sul muro per giocare a squash; al piano superiore (all’aperto) è stata invece montata una rete per le partite di tennis. E non è uno scherzo. Tutto vero. Le palline gialle dimenticate sotto i furgoncini sono un ironico segnale. Così come le siringhe, la sporcizia, la puzza di urina, l’incuria. I bagni sono chiusi a chiave («troppi tossici, qui intorno, ci hanno spiegato»). Lisa e Gabriel non possono usarli, né per rinfrescarsi né per i bisogni fisiologici. «Quando ce n’è bisogno andiamo nei bar, altrimenti abbiamo un secchio che svuotiamo nei cassonetti», raccontano. In uno spigolo di cemento hanno ricavato l’angolo cottura, con un fornelletto da campo; di fronte, ammassati in un carrello, ci sono tutti i loro averi. Il loro guardaroba.

TUTTO IL GIORNO stanno lì. Guardano la tv su un telefonino. Lui guadagna due soldi raccogliendo lattine nei cassonetti o chiedendole alla piadineria vicina. Così comprano quel poco che gli serve per sopravvivere. Gli unici aiuti li hanno ricevuti da un inserviente romeno, che ha portato loro qualche coperta. «Chiediamo soltanto una possibilità, una stanza con un bagno e una cucina». Hanno gli occhi limpidi e le mani nere di chi da due anni non riesce a farsi una doccia decente. «Un lavoro cambierebbe davvero le cose. Potremmo sistemarci, pensare al futuro», sussurra Gabriel. E Lisa, che non ha nemmeno un giaccone da mettersi, forse aspetta un bambino.