Reggio Emilia, 3 febbraio 2017 – NON ha fatto in tempo a sedersi, a scandire il suo nome, Antonella De Miro. Nell’udienza fiume di ieri, l’ex prefetto di Reggio, ora a Palermo – attesissimo testimone dell’accusa del processo Aemilia – in realtà non pronuncerà più che una manciata di parole. Lei, che in questa città per prima ha saputo dare forma all’antimafia; lei che, meglio, sul campo, ha rappresentato lo Stato.

Sono circa le 17 quando si avvicina al microfono, davanti a un pubblico impaziente di ascoltarla. Nello stesso tempo l’avvocato Carlo Taormina (difensore dell’imprenditore edile cutrese Giuseppe Iaquinta e del figlio Vincenzo, ex campione del mondo, entrambi imputati) si alza in piedi e tira fuori il suo coup de théâtre. «La De Miro non può parlare come testimone: è indagata per abuso d’ufficio e falso ideologico dalla procura di Reggio, reati connessi a ciò di cui si parla in questo processo».

Il brusio si contiene a fatica. L’accusa sbotta, in quella che il pm Marco Mescolini non esita a definire una «strategia strumentale e scopertamente di grave difficoltà, per non farla parlare; che dimostra solo, ancora di più, la delicatezza e l’importanza di quanto ha fatto nella provincia di Reggio Emilia».

MA è tutto vero. L’inchiesta – in mano al sostituto procuratore Giacomo Forte – è scaturita da un esposto presentato nel marzo del 2015 dallo stesso Giuseppe Iaquinta dopo la sua esclusione dalla white list. E l’ex prefetto di Reggio, nonostante due richieste di archiviazione dello stesso Forte (e altrettante opposizioni da parte dell’avvocato Taormina) in attesa dell’udienza di discussione fissata dal giudice Giovanni Ghini è, a tutti gli effetti, indagata. Un atto dovuto, s’intende. Ma sufficiente a far accogliere l’opposizione da parte del collegio presieduto da Francesco Maria Caruso (dopo quasi un’ora di camera di consiglio).

La De Miro dovrà tornare, accompagnata da un avvocato, e deporrà come «indagata di reato connesso in altro procedimento». Non come semplice testimone, dice Caruso.

Il prefetto di Palermo non fa una piega. «Va bene». Per lei non c’è problema, parlerebbe anche subito, assistita dall’avvocato d’ufficio Costantino Diana, che si è scapicollato per arrivare in tempo nell’aula bunker di via Paterlini. Ma no. Sono circa le 19 e le sue parole sono troppo importanti per poterla interrompere. Così, su richiesta del pm della Dda, tutto viene rinviato alla prima data utile per la De Miro, certamente dopo il 9 febbraio.

«IAQUINTA ha denunciato la De Miro con riferimento alle causali in virtù delle quali aveva emesso il provvedimento di rigetto di iscrizione alla white list – spiega Taormina –. Decisione basata su presupposti o immaginati o assolutamente non provati nemmeno da un elemento indiziario o di sospetto. Per questo l’abbiamo denunciata per falso ideologico in atto pubblico e abuso d’ufficio. La procura ha chiesto l’archiviazione iscrivendo il procedimento a ignoti, sulla richiesta di archiviazione io ho fatto opposizione. Il gip Ghini ha poi ordinato preliminarmente al pm Forte di iscrivere la De Miro sul registro degli indagati. La cosa avviene e nel giro di una quindicina di giorni il pm reitera la richiesta di archiviazione nei confronti della De Miro copiando sostanzialmente l’ordinanza di custodia cautelare che peraltro era stata totalmente annullata dalla Corte di Cassazione, ragione per la quale Iaquinta è stato scarcerato. Qui una nuova opposizione da parte mia e la fissazione della discussione in camera di consiglio».

Intanto, l’udienza per decidere sull’archiviazione della De Miro è stata fissata per il 15 marzo, ore 12. Lei però, prima si è già detta disponibile a tornare nell’aula di Aemilia.