Ci sono giocatori che hanno segnano la storia rossonera più di altri. Ricardo Kakà è uno di questi. Arrivato sconosciuto e ragazzino, aveva 21 anni, è diventato il giocatore più forte del mondo, con il pallone d’oro nel 2007, contribuendo ad arricchire la bacheca dei trofei rossoneri.

La sua cessione al Real Madrid aveva suscitato tristezza e arrabbiatura ma da una parte indossare la “camiseta” è il sogno di ogni brasiliano, dall’altra la valangata di soldi arrivati nelle casse di via Turati avevano rimesso a posto il bilancio.

La storia di Kakà per molti versi mi riporta a quella di Shevchenko, un altro grandissimo che ha lasciato il Milan (dopo aver vinto tutto Pallone d’Oro compreso) per tentare la fortuna all’estero, questa volta in Inghilterra. Entrambi hanno avuto difficoltà d’ambientamento, entrambi non hanno giocato ai livelli di quando indossavano la maglia rossonera, entrambi sono tornati sbiadendo il loro ricordo con prestazioni mediocri. Anche Thiago Silva a recentemente detto che in futuro vorrebbe tornare, forse con un difensore potrebbe essere diverso. Sempre di minestre riscaldate si tratta.

Quello che un po’ mi manca è vedere giocatori che iniziano e finiscono la carriera nella stessa squadra. Baresi e Maldini, solo per dirne un paio o anche Bergomi e Zanetti, guardando dall’altra sponda del Naviglio. Questi sono diventati miti, gli altri solo grandi campioni con forse un pizzico di rimpianto.