Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato un’inchiesta dal titolo «L’Italia digitale ha fatto flop» e nell’ambito di questa inchiesta avevamo anche raccontato, con una testimonianza diretta, come la sanità on line dell’Emilia Romagna (fascicolo sanitario elettronico) funzioni poco o nulla. Abbiamo ricevuto, sul tema, reazioni e commenti: chi d’accordo con noi, chi no. Abbiamo così interpellato il ‘papà’ della sanità on line dell’Emilia Romagna (e uno degli ’Archimedi’ del settore in Italia): Mauro Moruzzi, direttore scientifico di Cup 2000, inventore nel 1989 del primo Cup (Centro Unico di Prenotazioni) d’Italia e poi ‘organizzatore’ del fascicolo sanitario elettronico.

L’INTERVISTA

Direttore Moruzzi: giorni fa abbiamo dimostrato che il fascicolo sanitario elettronico non funziona…
«Avete in buona parte ragione. A parte le informazioni che arrivano dai 4mila medici di famiglia, nel fascicolo si trova poco. In Emilia Romagna ci siamo fermati».
Cioè?
«Abbiamo una Ferrari in garage e non la usiamo. O la usiamo pochissimo. Non attrae la gente».
Una Ferrari costa…
«Il fascicolo sanitario elettronico è già costato 100 milioni di euro. E ogni anno servono 20 milioni di euro per la manutenzione».
Ma quanti lo utilizzano?
«Circa 50mila persone. E’ stato attivato da 125mila emiliano-romagnoli ma la maggior parte di loro non sono mai andati online per sfruttarne le potenzialità, ancora ridotte»
Cento milioni di euro per un utilizzo di neanche l’1% della popolazione: un disastro.
«La fermo, spieghiamo bene le cose. E lo faccio con un numero: 100 milioni».
I soliti 100 milioni?
«No, in questo caso 100 milioni sono i documenti cartacei sanitari che circolano ogni anno in regione».
Quindi?
«Settanta milioni di questi 100 sarebbero in teoria già disponibili on line, ma in realtà succede che alcune delle 14 aziende sanitarie locali ti fanno pagare una multa di 25 euro se non vai a ritirare il certificato cartaceo».
Dov’è il risparmio dell’online?
«Il fascicolo sanitario elettronico efficiente farebbe risparmiare 0,50 euro a documento non stampato: 50milioni di euro all’anno, è un esempio di sanità low cost».
Vuol spiegare al cittadino medio a cosa dovrebbe servire il fascicolo sanitario elettronico?
« Ad accedere via web a tutti i servizi sanitari. Avere una cartella sanitaria online sempre a disposizione della rete medici di base-pazienti-assistenza pubblica. E, ad esempio, si potrebbero prenotare visite e altro in presa diretta. Ma qui casca l’asino…».
Si spieghi…
«Il fascicolo dovrebbe indicare immediatamente (con un clic) la prima disponibilità per un esame o una visita. In questo modo però verrebbero messe nero su bianco le liste d’attesa che nella realtà superano troppo spesso i 30 giorni massimi previsti per le visite specialistiche e i 60 per gli esami diagnositici».
E quindi?
«E quindi la gente potrebbe svegliarsi e fare causa se ti danno una visita dopo sei mesi».
Morale della favola?
«C’è chi non vuole cambiare modelli. Ci sono resistenze».
Il neo presidente della regione Bonaccini ha detto che vuole risolvere il problema delle liste d’attesa.
«Bene, ma il problema non si risolve nascondendole. E non mi sembra che finora Bonaccini abbia parlato di come rilanciare il fascicolo sanitario elettronico».
Chi si deve muovere?
«Politica e manager dell’Ausl».
Conclusioni?
«Il fascicolo su Internet è una cosa bellissima ma richiede (come è avvenuto nelle banche, nella finanza, nei trasporti aerei, alla Ducati) una piccola rivoluzione culturale anche nella sanità pubblica. Se non si cambia il modello burocratico, è tutto inutile»

LA REPLICA DELL’ASSESSORE REGIONALE ALLA SANITA’ VENTURI

Un aspetto, tra tanti, mi ha colpito subito leggendo l’intervista pubblicata ieri sul suo giornale: mi riferisco al fatto che Mauro Moruzzi dia informazioni errate. Soprattutto sui costi.Dal 2002 a oggi la Regione ha speso 132,5 milioni di euro per progettare, realizzare e gestire la rete Sole dei medici di medicina generale e sviluppare progetti di integrazione dei sistemi informativi delle Aziende sanitarie e di infrastruttura regionale. Tra questi, c’è il Fascicolo sanitario elettronico, che è costato complessivamente 3 milioni di euro (e non 100 milioni, come si sostiene). Ogni anno, per la rete Sole e per lo sviluppo dell’infrastruttura, la Regione investe circa 14,7 milioni, di cui 500mila per il Fascicolo (e non 20 milioni, come si sostiene). Certo, stiamo parlando comunque di cifre importanti. Ed ho ben presente l’importanza di valorizzare l’investimento che l’Emilia Romagna ha fatto, anche se di dimensioni molto diverse da quelle indicate nell’intervista. E’ per questo che, in un incontro che ho avuto nei giorni scorsi con il presidente di Cup 2000, Fosco Foglietta, e con il direttore generale Anna Darchini, abbiamo condiviso la necessità di ridare slancio al progetto. Perché oggi il Fascicolo è ancora poco conosciuto, ai medici e ai cittadini, anche perché è poco ‘attraente’, se è vero che la maggior parte di chi lo ha attivato poi non lo utilizza. Questi limiti vanno superati rivedendo l’intero prodotto – che peraltro Moruzzi conosce benissimo, essendo stato direttore generale Cup al tempo della ideazione del prodotto stesso – per consentire al progetto di dispiegare tutte le proprie potenzialità, sia nei confronti dei professionisti della sanità che dei cittadini. Dovremo lavorare sull’accessibilità al sito, ma anche sui contenuti. C’è un lavoro importante da fare, su questo. E lo faremo, perché non vogliamo eludere i problemi. Quanto all’accusa che viene rivolta alla Regione, secondo la quale «la politica» starebbe cercando di nascondere le liste d’attesa, aggiungo solo che rispondere ai problemi concreti lo considero un dovere. Alle illazioni, non mi pare il caso.

LA CONTRO-REPLICA DI MORUZZI

Mi fa piacere che l’assessore alle Politiche per la salute della Regione Emilia Romagna, Sergio Venturi, rispondendo all’intervista che mi ha fatto Massimo Pandolfi, riconosca l’importanza di una riflessione critica sulla diffusione del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) in Emilia Romagna. Trovo invece singolare che mi attribuisca un grossolano errore di conti: il FSE non sarebbe costato 100 milioni di euro ma tre. Chi ha scritto i dati per l’assessore ha voluto artificiosamente separare i costi dell’infrastruttura che genera il Fascicolo da quelli dell’interfaccia utente e della distribuzione dello stesso. Sarebbe come dire che i costi del melo non incidono su quelli della mela. Il FSE non è solo quello che noi vediamo sul web, ma tutto il processo di condivisione del dato di salute tra medico di famiglia, medico specialista e cittadino. È la rete. Questo prevede, tra l’altro, la legge. Detto ciò, aggiungo che questi soldi sono stati spesi bene. Il problema – lo riconosce anche Venturi – è di rendere il Fascicolo pienamente accessibile a tutti, con servizi reali come la prenotazione via web delle visite e, aggiungo, la trasparenza sui tempi di attesa.
Mauro Moruzzi (direttore Scientifico Cup 2000)