Quarto Oggiaro, periferia, là dove “Milano è tanto grande da impazzire…” cantava Guccini, con lo stupore della metropoli nei sogni. Daniele fa pochi metri, con la sua bara coperta di fiori gialli, per arrivare nella chiesa dove la gente del quartiere si ammassa, ordinata, fuori. Dentro non c’è più posto già da un’ora. Non è proprio una chiesa, ma un ex asilo, con le pareti esterne di lamiera screpolata. Raccontano di quartieri dove gli stanziamenti per ristrutturare fanno fatica ad arrivare, grigi e stanchi, di fatica e assenza di speranze. Sono venuti in tantissimi. Hanno le lacrime agli occhi, anche gli arabi, le donne con i chador. Forse sono di religione islamica, ma il dolore sa raccogliersi in preghiere universali, anche se adesso si è frantumato contro un muro di integrazione mancata, di disperazione, di assenza. Dai palazzoni gialli molti in silenzio si affacciano dai balconi; le tende scolorite, quelle che servono a difendersi dall’agosto che non permette le ferie, sono tirate. Tanti sono neri, la stessa pelle di chi ha infierito su Daniele. Vivono in questi condomini che trasudano povertà dignitosa, coi giardini curati anche se l’intonaco frana e l’asfalto grigio che li separa dalla Milano del centro, un altro mondo, non concede fughe.
Famiglie, ragazzi con le felpe scure. Niente griffe, niente urla. Solo un silenzio attonito, e lo striscione: “Daniele ora anche gli angeli sanno chi sei“.
Dal suo condominio, tra i pochi modesti fiori legati all’inferriata, un addio: “Daniele rimarrai unico. Quello è un vero bastardo e spero che muore”. Le sgrammaticature del dolore tengono compagnia agli spray bianchi degli ultras e alle parole pietose del parroco: «In un momento così può prevalere la rabbia o può prevalere lo stupore. Anche io mi chiedo da credente il perché, dove sta radice di questo male».
Fuori qualcuno discute, di extracomunitari, di controlli… La difficile via dell’integrazione passa anche da queste giornate grige, da un pomeriggio di sabato in cui tanti ragazzi nel vicino centro di Milano sport Cantù si allenano. Da quest’assenza forzata di allegria, dalla spensieratezza strappata alla gioventù.