IN QUESTI GIORNI mi è capitato di transitare per qualche ospedale pubblico: sono rimasto piuttosto sconvolto, perché non mi sembrava più di essere in Italia, ma in un anomalo Paese islamico. Se l’ospedale è uno spaccato della realtà, ho incontrato ovunque giovani donne velate, incinte, con carrozzine piene di bambini, “clienti” di ginecologie e consultori. Nelle aree di pronto soccorso, invece, si muovevano con disinvoltura tanti giovani dai tratti mediorientali, capaci, al contrario di noi, di navigare nella complicata burocrazia dei ricoveri e delle urgenze. Gli italiani presenti, ricoverati o bisognosi di cure, erano tutti molto anziani, tanto vecchi, quasi decrepiti. Mentre mi aggiravo nei vialetti di un famoso policlinico della progressista Bologna, ho notato i cartelli scritti in italiano e in arabo, poi in inglese, con noi autoctoni quasi sudditi di una cultura che ci invade e si espande senza trovare alcuna resistenza, in nome di una perdente e tragica multiculturalità che abbiamo sposato, senza capirne le derive. Mi è restata addosso una strana sensazione: non sono riuscito a capire se siamo un generoso Paese di grande civiltà o dei pirla senza speranza. [email protected]