HA RAGIONE il mio amico Robertino Gervaso che se la prende con le primarie-farsa “made in Italy” a confronto di quelle, ben più autorevoli e limpide, che vanno in onda negli States. Possiamo anche prendere in giro finché vogliamo Donald Trump per il suo parrucchino o scandalizzarci con lui perché è ricorso al mussoliniano (che poi non è) “un giorno da leoni”, ma negli Stati Uniti le primarie sono una cosa seria. Da noi sembrano, invece, la cartina di tornasole di una Repubblica non ancora delle banane che gode, comunque, nel fare ridere i polli (e non solo). Tra i cinesi che, a Milano, si fanno passare per “fan” nostrani e vanno a votare per Beppe Sala e cronisti che, a Roma, possono diventare uni e trini perché sono riusciti a moltiplicare la loro preferenza e nessuno se ne è accorto, nell’ultimo mese non abbiamo davvero dato un bello spettacolo. Intendiamoci, neppure i grillini hanno brillato con le loro primarie via Internet come è successo sotto la Madonnina con la candidatura di Patrizia Bedori che passa con una manciata di voti e che viene poi bocciata alla prova-finestra. Per non parlare del centro-destra che brilla con l’aspirante sindaco scelto dall’alto: basta vedere cosa è successo a Roma con la Meloni che è scesa in campo alla faccia di Bertolaso e del pressante (e infelice) invito a stare a casa per gravidanza. Siamo sempre più il Paese di Ridolini e, a questo punto, non c’è limite al peggio. È vero, siamo anche un po’ masochisti e finiamo quasi per compiacerci dei nostri errori e dei tanti difetti che denunciamo: non dobbiamo lacerarci le vesti in questo modo. Ma è anche inutile voler imitare gli americani: c’è un oceano che ci divide. E allora? Andiamo a scuola dagli altri e, invece del tradizionale bagno in Arno, facciamo tutti un bel bagno nel Mississippi. [email protected]