SONO MESI che stiamo parlando del presidente che verrà. Veti incrociati, auto-candidature, ballons d’essai. Tutto un lavorio, più o meno diplomatico, che, alla fine, ha sortito il nome di Sergio Mattarella, tirato fuori dal cappello a cilindro di Matteo Renzi come pretendente unico del Pd al Colle. È stato partorito il classico topolino. In circolazione non c’era un nome migliore? Da anni, ormai, il premier dice che bisogna fare largo ai giovani e rottamare tutte le vecchie cariatidi e poi non trova di meglio che mandare avanti un signore di 74 anni, già discepolo di De Mita nelle file della Dc, poi passato alla sinistra. È vero che il fratello di Mattarella, Piersanti, presidente della Regione Sicilia, è stato ucciso dalla mafia il giorno della Befana del 1980, ma il sacrificio di una persona cara non deve diventare un viatico per i suoi familiari verso il Quirinale. Il Mattarellum, poi, la riforma elettorale del ‘93 che porta il suo nome, è stata una botta in testa più che un regalo agli italiani. Al di là delle scelte del Pd, è avvilente il fatto che tutti i partiti, a cominciare dal centrodestra, non siano riusciti a trovare un candidato unico, condiviso e con un pizzico di novità. La balena bianca è sempre lì, sempre a galla, pronta a infilare qualche suo esponente nelle acque perigliose che avvolgono gli italiani. Visti anche i risultati elettorali in Grecia che minano ancor più la costruzione europea, sarebbe stato meglio indicare come capo dello Stato un economista in grado di fronteggiare l’emergenza, magari convincendo Draghi a trasferirsi da Francoforte a Roma, piuttosto che innalzare l’ennesimo giudice ai vertici della Repubblica. Invece no: ci turiamo il naso e, anche se non lo sappiamo, continuiamo a votare Dc. [email protected]