27 GENNAIO 2011: sono davanti alle porte di Rebibbia per una visita come parlamentare. Vado a trovare, pochi giorni dopo l’inizio del suo purgatorio, l’ex governatore della Sicilia, Totò Cuffaro, condannato a 7 anni di detenzione per favoreggiamento aggravato alla mafia. Quando l’incontro, cerco di farlo sorridere. Ma lui fatica a trattenere le lacrime anche perché si è appena conclusa la prima visita a Rebibbia dei suoi familiari al completo, la moglie e i due figli. Gli chiedo cosa gli dia la forza per andare avanti nonostante il mondo gli sia appena crollato addosso. La risposta è immediata: «La vicinanza dei miei cari».

E aggiunge: «Mi hanno dato la forza di tirare avanti. In queste situazioni la famiglia è tutto». Sono le stesse cose che ha ripetuto domenica, quasi 5 anni dopo (due anni gli sono stati condonati) al momento della sua uscita dal carcere, visibilmente dimagrito: «La prigione è un posto che ti toglie il fiato, ma non è riuscita a togliermi l’amore della famiglia». Famiglia in senso buono, ovviamente. Al di là delle battute, nella sua triste vicenda personale, Cuffaro ha dimostrato una grande dignità: onore al merito. Anche l’altro giorno, ha ammesso i propri errori: «Io ho pagato, altri no».

Con un messaggio di speranza: «Ora credo di avere il diritto di ricominciare». Penso che a dargli tanta forza sia stata anche la Fede. Sul suo comodino, in carcere, c’erano la Bibbia e il volume “Luce nel mondo” scritto da Papa Ratzinger. [email protected]