C’È UN IMPRENDITORE lombardo, Ernesto Preatoni, anche commentatore del “Giorno”, che aveva da tempo previsto tutto: l’eurosclerosi, con la caduta dell’impero monetario, il declino del Vecchio Continente. Per anni, il fondatore di Sharm El Sheikh è stato, sull’argomento, una voce isolata e anche scomoda: parlare male dell’euro era dai più considerato un delitto di lesa maestà e i detrattori dovevano finire al rogo a Campo de’ Fiori. Oggi Preatoni, chiamato anche il pioniere, viene rivalutato e non solo dai leghisti di Salvini: il suo “io l’avevo detto!” sarà riassunto in un libro-intervista (“La vita oltre l’euro”) che uscirà in ottobre. Ma, nel frattempo, sono stati fatti tanti, tantissimi, guasti e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: a differenza di Stati Uniti, Gran Bretagna e anche Giappone, solo l’area della moneta unica è, infatti, l’unica che è oggi in profonda stagnazione.  Come rimediare? Il discorso sarebbe troppo lungo e richiederebbe, appunto, un libro per cercare di esporre i “pro” e i “contro” dell’uscita pilotata dell’Italia e di altri Paesi economicamente deboli dal club della valuta unica e per comprendere chi si accollerà l’onere di prendere le redini (la Francia?) di una operazione di disimpegno. 

PRIMA, PERÒ, di individuare la prognosi dell’euromorbo, bisognerebbe comprendere fino a che punto la situazione di grave stallo sia stata motivata dalle ingessature comunitarie e da eventuali diktat della Merkel o, anche, da colpe tutte nostre. Noi italiani ci siamo fin troppo soffermati sulle responsabilità di Bruxelles e di Berlino, ma, per carità di patria, spesso e volentieri, abbiamo preferito evitare di lavare i panni sporchi in casa. Eppure, le nostre colpe sono tante. Guardiamo, ad esempio, alcune delle misure che il governo Renzi dovrebbe varare subito per ridare ossigeno all’economia: defiscalizzare gli utili reinvestiti dalle aziende in attività produttive, rendere più elastico il mercato del lavoro, abolendo anche le rigidità introdotte dalla Legge Fornero, introdurre agevolazioni fiscali per le imprese che assumono neolaureati, salvaguardare l’italianità dei maggiori gruppi industriali senza dover svendere asset a cinesi, russi e arabi, come è successo con Alitalia (anche se la presidenza sarà assunta, in questo caso, da Luca di Montezemolo). 

SENZA VOLERGLI attribuire particolari meriti, molti di questi provvedimenti erano già stati messi in cantiere dal governo Berlusconi, ma il terremoto-spread dell’autunno 2011 ha fatto saltare tutti i progetti. Sono trascorsi tre anni, a Palazzo Chigi si sono succeduti tre premier (Monti, Enrico Letta e ora il sindaco d’Italia), ma quelle misure sono rimaste nel limbo dei sogni mentre la situazione congiunturale del Belpaese ha continuato a peggiorare. Non solo. Gli addetti ai lavori hanno finito per boicottare quelle misure che andavano nella direzione giusta e che erano state attuate: è il caso dell’introduzione della meritocrazia nelle scuole e nelle Università, come previsto dalla Legge Gelmini.  Morale della favola: oggi Matteo deve tentare di rimediare alle manchevolezze dei professori e, per cercare di far decollare la terapia d’urgenza, cerca l’aiuto proprio dell’ex Cavaliere che ha già deciso di accogliere l’appello, considerando la situazione di grave emergenza. E, a questo punto, non ci sono alternative: o a settembre si cambia marcia, contemperando le esigenze del bilancio pubblico con quelle del rilancio dei consumi, oppure ci attenderà un nuovo autunno nero, peggio ancora di quello del 2011 che fece saltare l’esecutivo Berlusconi. Senza contare che, ad aggravare il quadro, c’è la possibilità di una manovra fiscale: nonostante i tentativi del ministro Padoan per scongiurarla, è davvero dietro l’angolo. 
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