Retromania. Più che il titolo del libro di Simon Reynolds – ormai un chiodo fisso anche in Italia (conviene leggerlo per farsene un’idea) – è uno stato d’animo. E anche il concertone del primo maggio non ne è immune. E’ stato appena anticipato che sarà un concertone di cover. Ci saranno – ha annunciato l’organizzatore Marco Godano – dodici pietre miliari del rock, alcune in versioni orchestrali: da “Shine on you crazy Diamond” dei Pink Floyd a “Kashmir” dei Led Zeppelin.  Breve inciso: la scelta di Mauro Pagani come direttore d’orchestra, arrangiatore e musicista non si discute. Ok, ma è meglio prepararsi. Perché, salvo rarissime eccezioni, a meno che non ti chiami Johnny Cash (provare per credere con “I see a darkness” del prolifico Bonnie Prince Billy rifatta dal maestro), la copia viene peggio dell’originale. Soprattutto se ci si confronta con i classici, dove la stecca rischia di essere amplificata, perché percepibile oltre da chi conosce il pezzone per filo e per segno, anche dalla maggioranza tutt’altro che silenziosa.  E così per dare una botta di vita al concertone del primo maggio, si prova con la “nostalgia canaglia”. Un po’ anche per stuzzicare la mozione degli affetti. Ma la realtà è che il concertone non è più granitico come un tempo. E non parla più alla folla come faceva agli inizi. Il gesto sovversivo del rocker sul palco di piazza San Giovanni non esiste più. Il concertone è diventata ormai una liturgia che prevede una maxi diretta tv che non ha poi tutto quel gran audience. Non capiterà più di vedere Elio e le Storie Tese che fanno “Sabbiature”, in cui snocciolano in piena prima Repubblica e prima del deflagrare di Tangentopoli i nomi di tutti i politici dell’ancien regime e le loro malefatte. Era il 1991. E sono trascorsi ventuno anni. Più che nostalgia per i grandi classici o per le cosiddette pietre miliari del rock, c’è quella per il rock vero e proprio. Quello irriverente. E il concertone del Primo Maggio non è mai sembrato così lento. E assai politicamente corretto.