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Firenze, 20 ottobre 2014 – Articolo pubblicato su “QN” di oggi.

Mario Luzi, la poesia della vita. Nei suoi versi l’anima del ‘900

Cento anni esatti, oggi, dalla nascita di Mario Luzi. Un centenario denso di iniziative, che ha finora visto di volta in volta protagoniste nel tributare omaggi al poeta – oltre a FirenzeSiena ed altre località toscane, Milano con un convegno all’Università Cattolica e una lettura in Duomo, Mendrisio in Svizzera con due mostre. Ma già si annunciano, imminenti, una serata in onore presso il Senato organizzata dall’infaticabile amico e mecenate Paolo Andrea Mettel (mercoledì 22), un grande congresso internazionale sull’Ermetismo promosso a Firenze da Anna Dolfi (dal 27 al 31 del mese), una giornata luziana ad Arezzo l’8 novembre; perfino, a febbraio, auspice Fabio Finotti, uno sbarco di Luzi negli Stati Uniti, con una articolata serie di eventi celebrativi tra Philadelphia e New York.

Incontri di studio, rassegne e ricordi che proprio lunedì, allo scoccare del fatidico giorno, culmineranno oggi a Pienza con una testimonianza significativa e di indubbio prestigio come quella del maggiore poeta arabo contemporaneo, il siriano Adonis, ospite in compagnia dell’artista Marco Nereo Rotelli del «Centro Studi La Barca» e della splendida città-gioiello che tanto Luzi amava.

Una data da festeggiare, un anniversario di vita che ci rammenta che Mario Luzi è ancora tra noi con i suoi versi straordinari, ai vertici del Novecento: con un’opera di valore immenso da continuare a conoscere ed amare, a farci ancora da guida nei territori dell’esistenza che abbiamo attraversato con lui, con il suo esempio.

Luoghi da ripercorrere insieme, «dalle foci alle sorgenti», secondo quella regola eterna, anch’essa da lui appresa, della «fine» e del «ricominciamento»: quasi fossero le acque perenni di un unico fiume che continua a scorrere, permettendo alla nostra «barca» di viventi, il cui nocchiero è rimasto saldamente al nostro fianco, di «vedere il mondo», di coglierne il «sospiro profondo». Un’esaltante memoria di vita, da «poesia naturale», da poesia della trasformazione, del dramma e della speranza.

Frammenti di Novecento è il titolo di uno dei molti libri-intervista del poeta. Un titolo quanto mai in carattere con la poesia di Luzi, nel suo divaricarsi tra il plurale del «molteplice» e il singolare di un «unitario» alluso, che a quei frammenti, parte di un tutto, segretamente sovrintende. Come nei titoli del poeta, tutti giocati su questa stretta dinamica: Frasi e incisi di un canto salutare, Per il battesimo dei nostri frammenti.

È stato Luzi e non altri, del resto, ad individuare con tempestività e chiarezza il sostanziale problema della poesia moderna nel confronto drammaticamente impostosi tra le ragioni del frammentario, del disgregato e del molteplice, e quelle dell’unitario. Un confronto storicamente montante, fattosi con il tempo solo più tragico e violento.

«La poesia – scriveva Luzi negli anni Cinquanta del secolo scorso – respira un profondo bisogno di unità laddove la vita psichica e la vita organizzata degli uomini d’oggi è estremamente frammentaria. Ma quella sintesi potrà operarsi oggi nella realtà quando manca ogni seria premessa a concepire integralmente il mondo come realtà che ha principio e termine in se stessa? Oppure la poesia dovrà adattarsi a vivere in sparsi e bruti frammenti?».

Ma la poesia di Luzi e l’alta riflessione a margine che ad essa si è costantemente accompagnata hanno saputo distinguere con sicurezza tra vivace, animato «frammento» e inerte, morto «frantume», e come l’autore ebbe una volta a dichiarare: «Ciò che unicamente ci rassicura è la vita in sé, lo spandersi continuo della vita sul pianeta nell’universo». Fino a questi mirabili versi di Seme, in Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini: «Chi ordina? chi parla? / Non ha importanza chi sia / l’autore della vita, / la vita è anche il proprio autore. / La vita è».

Luzi è stato così l’ineccepibile, insostituibile messaggero di una vicenda di «creazione incessante» fra dolore e superiore fiducia: da testimone profetico del «giusto della vita», da insigne artefice e, insieme, da umile essere umano partecipe dell’«opera del mondo».

Marco Marchi

Vola alta, parola…

Vola alta, parola, cresci in profondità,
tocca nadir e zenith della tua significazione,
giacché talvolta lo puoi – sogno che la cosa esclami
nel buio della mente –
però non separarti
da me, non arrivare,
ti prego, a quel celestiale appuntamento
da sola, senza il caldo di me
o almeno il mio ricordo, sii
luce, non disabitata trasparenza…

La cosa e la sua anima? o la mia e la sua sofferenza?

Mario Luzi

(da Per il battesimo dei nostri frammenti)

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