VEDI IL VIDEO L’ “Ultimo canto di Saffo” di Leopardi letto da Alberto Lupo

Firenze, 7 novembre 2013 –  Articolo pubblicato su “La Nazione” di oggi.

Giovan Pietro Vieusseux. Alla scoperta del letterato innamorato di Firenze

Il Gabinetto Vieusseux celebra domani il suo fondatore. L’occasione è fornita da una data anniversaria particolarmente importante come i centocinquanta anni dalla morte di Giovan Pietro Vieusseux e l’istituto rende omaggio all’intraprendente ginevrino illustre, cui storia di Firenze e la cultura italiana devono molto, con una densa giornata di studi in Palazzo Strozzi.

Un omaggio articolato in due momenti. Al mattino la presentazione di una novità libraria di sicuro rilevo come gli atti del Convegno del 2011 – curati da Maurizio Bossi e editi da Olschki – «Giovan Pietro Vieusseux. Pensare l’Italia guardando all’Europa»: una tavola rotonda presieduta dalla direttrice Gloria Manghetti alla quale partecipano gli storici Cosimo Ceccuti, Umberto Levia e Sandro Rogari.

Al pomeriggio una serie di relazioni tese invece ad evocare e approfondire la figura di Vieusseux e la sua complessiva «impresa»: non solo di fondatore, nel 1820, del celebre gabinetto fiorentino – allora ubicato in Palazzo Buondelmonti in Piazza Santa Trinita – che fu ritrovo dei maggiori intellettuali, letterati e scienziati dell’epoca, ma anche di prestigiose riviste come l’«Antologia» – tra i collaboratori di spicco Tommaseo e Leopardi –, il «Giornale agrario toscano» e l’«Archivio storico». Intervengono Caterina Del Vivo, Riccardo Faucci, Laura Desideri e Monica Pacini e l’incontro è arricchito da letture di Italo Dall’Orto.

Marco Marchi

Una poesia di Giacomo Leopardi

Ultimo canto di Saffo

Placida notte, e verecondo raggio
Della cadente luna; e tu che spunti
Fra la tacita selva in su la rupe,
Nunzio del giorno; oh dilettose e care
Mentre ignote mi fur l’erinni e il fato,
Sembianze agli occhi miei; già non arride
Spettacol molle ai disperati affetti.
Noi l’insueto allor gaudio ravviva
Quando per l’etra liquido si volve
E per li campi trepidanti il flutto10
Polveroso de’ Noti, e quando il carro,
Grave carro di Giove a noi sul capo,
Tonando, il tenebroso aere divide.
Noi per le balze e le profonde valli
Natar giova tra’ nembi, e noi la vasta15
Fuga de’ greggi sbigottiti, o d’alto
Fiume alla dubbia sponda
Il suono e la vittrice ira dell’onda.

Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta20
Infinita beltà parte nessuna
Alla misera Saffo i numi e l’empia
Sorte non fenno. A’ tuoi superbi regni
Vile, o natura, e grave ospite addetta,
E dispregiata amante, alle vezzose
Tue forme il core e le pupille invano
Supplichevole intendo. A me non ride
L’aprico margo, e dall’eterea porta
Il mattutino albor; me non il canto
De’ colorati augelli, e non de’ faggi
Il murmure saluta: e dove all’ombra
Degl’inchinati salici dispiega
Candido rivo il puro seno, al mio
Lubrico piè le flessuose linfe
Disdegnando sottragge,35
E preme in fuga l’odorate spiagge.

Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
In che peccai bambina, allor che ignara
Di misfatto è la vita, onde poi scemo
Di giovanezza, e disfiorato, al fuso
Dell’indomita Parca si volvesse
Il ferrigno mio stame? Incaute voci
Spande il tuo labbro: i destinati eventi
Move arcano consiglio. Arcano è tutto,
Fuor che il nostro dolor. Negletta prole
Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
De’ celesti si posa. Oh cure, oh speme
De’ più verd’anni! Alle sembianze il Padre,
Alle amene sembianze eterno regno
Diè nelle genti; e per virili imprese,
Per dotta lira o canto,
Virtù non luce in disadorno ammanto.

Morremo. Il velo indegno a terra sparto55
Rifuggirà l’ignudo animo a Dite,
E il crudo fallo emenderà del cieco
Dispensator de’ casi. E tu cui lungo
Amore indarno, e lunga fede, e vano
D’implacato desio furor mi strinse,60
Vivi felice, se felice in terra
Visse nato mortal. Me non asperse
Del soave licor del doglio avaro
Giove, poi che perir gl’inganni e il sogno
Della mia fanciullezza. Ogni più lieto
Giorno di nostra età primo s’invola.
Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l’ombra
Della gelida morte. Ecco di tante
Sperate palme e dilettosi errori,
Il Tartaro m’avanza; e il prode ingegno70
Han la tenaria Diva,
E l’atra notte, e la silente riva.

Giacomo Leopardi

(da Canti)

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