VEDI I VIDEO “Ma tu sempre” e altri testi letti da Maddalena Crippa , Scene da “Gli ultimi”, film di Vito Pandolfi e David Maria Turoldo (1963)

Firenze, 25 febbraio 2014 – E’ con piacere che annunciamo imminente l’uscita degli atti di un incontro di studi tenutosi a Firenze presso la Fondazione Il Fiore: incontro che abbinò nel settembre del 2012 le figure di David Maria Turoldo e di Ernesto Balducci per iniziativa congiunta della Fondazione voluta da Alberto Caramella e della Fondazione Balducci.

Si celebrava allora il ventennale della scomparsa dei due personaggi, e Due uomini a confronto si  intitolò, con efficacia ed intonata semplicità, l’iniziativa che grazie a questa pubblicazione a breve in libreria, edita da Polistampa, amplierà il suo pubblico, continuando a comunicare  nello spazio e nel tempo i risultati di quei sopralluoghi testimoniali e di quelle letture critiche che videro partecipi Andrea Cecconi, Maria Giuseppina Caramella, Carmelo Mezzasalma, Francesco Stella, Giorgio Luzzi , Alfredo Jacopozzi e colui che scrive.

A proposito del film «Gli ultimi», di cui abbiamo voluto dare notizia in questo post per la rarità del documento, per il suo indubbio interesse e per la sua forte attinenza rispetto a temi fondanti della formazione umana, della cultura e della poetica di Turoldo, riproduciamo, attingendo dalla rassegna stampa dell’epoca, i significativi giudizi di due poeti: poeti ambedue legati per ragioni biografiche ed affettive al Friuli in cui il film-inchiesta è ambientato. Al giudizio di Giuseppe Ungaretti (poeta-soldato in quei luoghi e sul Carso durante la prima guerra mondiale)  fa così eco quello di Pier Paolo Pasolini (il Friuli materno, il dialetto «di cà da l’aga», le sue rustiche e mitiche estati a Casarsa, le sue Poesie a Casarsa…).

Ungaretti: Storie di bimbi hanno commosso tanti artisti. Esse nella letteratura delinearono molte figure indimenticabili. Due mi sono particolarmente care per motivi diversi, e che non è ora il momento di esporre: il “Moscardino” di Enrico Pea e “Poil de carotte” di Jules Renard. Il film dal titolo Gli ultimi, su soggetto di Padre Turoldo, attuato per la regia di Pandolfi, presenta un bimbo. Dirò con pochissime frasi la mia commozione: è forte quanto quella provata alla lettura di Poil de carotte e di Moscardino . La suggestione cinematografica è, d’altra parte, questa volta solo paragonabile a quella da me provata guardando L’uomo di Aran [Robert Flaherty] o Vita di O-Haru donna galante [Kenji Mizoguchi]. Sarà la solitudine stupenda del Friuli nella quale ho vissuto nei primi due anni della prima guerra, alternandone il soggiorno con il Carso, sarà l’arte del bimbo incredibilmente spontanea e vera, sarà il modo semplice e assoluto di mostrare i terribili simboli della morte e della fame, so che si tratta di un film indimenticabile, infinitamente più bello dei pochi che quest’anno ho ammirato, si tratta dell’unico film di quest’anno unicamente dettato da schietta e alta poesia.

Pasolini: Una nostalgia in quanto peccato, e quindi dominata da un severo, quasi squallido senso di rinuncia, è l’ideologia di questo film. Esso vi è coerente dal principio alla fine, e finisce quindi col presentarsi come un sistema stilistico, chiuso e senza un cedimento o un compromesso. Non si sfugge né alla monotonia della nostalgia, né al grigiore della morale. Gli ultimi è un film monotono e grigio, ma carico di una esasperata coerenza col proprio assunto stilistico, e quindi profondamente poetico. Non per niente con c’è una inquadratura girata col sole: la luce è sempre quella dell’inverno con le nuvole alte e compatte, che, a loro modo, sono assolute come il sereno. E il paese è sempre immobile, in purissimo bianco e nero, e la campagna nuda, disegnata con una punta di ferro. La visione delle cose è sempre frontale, e, nel tempo stesso, ristretta, quasi che anche lo sguardo che un occhio, può, in fine, gettare liberamente al mondo, fosse dominato dall’obbligo morale alla piccolezza e alla rinuncia. È evidentemente il sentimento religioso di Padre Turoldo, che impone questa parola, e dice: “Se nostalgia per il mio paese e la mia infanzia ci deve essere, non deve però abbellirli: deve anzi ridurli all’estremo, e la sua dilatazione deve solo avvenire nel senso della profondità”. Vito Pandolfi ha eseguito con assoluta severità estetica questo obbligo religioso quasi nevrotico. E tutti i personaggi tendono così ad assimilarsi ad esso: magri, stremati, grigi, malati, anonimi, sostenuti solo da un soffio di spiritualità quasi faziosa. Piano piano la suite della vita nel paesello pedemontano, con le sue case di sassi grigi e le sue strade bianche, nella luce accecante dell’aria di neve, diviene iterazione, litania: la serie degli episodi si fa ossessiva, e i significati della povera vicenda umana trapassano a una simbologia tanto più povera di ornamento quanto più ricca di un quasi fisico dolore. 

I due pronunciamenti, davvero personali e interessanti, sono stati desunti dai sito La Cineteca del Friuli.

Marco Marchi

Ma tu sempre

Tu sempre m’intendi
pur se mormoro o grido:
tu l’Ineffabile
perfino Tenebra luminosa!…
Così varcherò l’ultima soglia
l’anima danzando…

Salmo 8

Come splende, Signore Dio nostro
il tuo nome su tutta la terra.
Lasciami anche dalla tomba un pertugio,
che io possa ancora vedere
il sole che sorge
una nuvola d’oro,
Espero che riluce la sera
in un limpido cielo.
E mai abbia fine questa Coscienza
cge i cieli immensi comprende
e più riflesso di te
che lo orni di divino splendore;
senza, non c’è voce che ti canti.

Preghiera

Svegliati, mia arpa,
che voglio destare l’aurora:
cantare i silenzi dell’alba
chiamare le genti sulle porte,
e salutare il giorno:
e dare speranza agli umili
e dire insieme la preghiera
del pane che basti per oggi:
allora anche i poveri ne avranno d’avanzo.
Amen.

David MariaTuroldo 

(da Ultime poesie 1991-1992)

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