VEDI I VIDEO Un’edizione del “Premio Firenze per le culture di pace”, con Heidemarie Schwermer , Saverio Tomasi e l'”omocausto” , Angela Terzani Staude parla di Vittorio Arrigoni , Maurizio Costanzo intervista il Dalai Lama , Enzo Biagi intervista Don Luigi Ciotti

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Firenze, 1 dicembre 2018 “Racconti per la pace”, ma non solo. Si celebra questo pomeriggio a Firenze dalle ore 16, all’Auditorium di Sant’Apollonia di Via San Gallo, la tredicesima edizione del Premio letterario “Firenze per le culture di pace”.

L’iniziativa, dedicata al Dalai Lama e presieduta da Don Luigi Ciotti, è promossa dall’associazione “Un Tempio per la Pace” in collaborazione con Comune, Regione Toscana e Biblioteca delle Oblate, all’interno di un quadro propositivo fitto di presenze e attività che costituiscono dal 1996 la sua storia. Un’iniziativa che, grazie alla riconfermata partecipazione delle maggiori istituzioni pubbliche cittadine, ha visto nuovamente crescere i suoi significati e le sue capacità di sensibilizzazione sul grande tema della pace e dell’incontro tra i popoli.

Ancora una volta una serie di belle testimonianze, molto diverse tra loro ma tutte all’insegna del tema della pace, Hanno dato luogo ad un libro, consentendo così al loro messaggio collettivo, poliedrico e convergente, di propagarsi, di trasmettersi coralmente ad altri.

Vari, come ogni anno, i temi affrontati, e vari i modi di raccontarli; ma tutti questi testi gravitano attorno al grande  tema della pace, secondo le moltissime coniugazioni che di esso, scrivendo, è possibile sperimentare. Testi sulla pace all’insegna della pluralità, impostati, come accennavamo, secondo liberi trattamenti del tema e affidati a registri espressivi altrettanto personalizzati e varianti, indice volta a volta di autenticità del messaggio veicolato dalla scrittura e, insieme, di volontà di ricerca, di responsabile capacità di interpretazione e di giudizio, di insopprimibile tensione comunicativa e dialogante.

Sì, ne siamo convinti: un concorso come “Firenze per le culture di pace” continua a servire in un’epoca difficile e spesso sconcertante come la nostra, troppe volte negatrice della pace, violentemente disumana e antipoetica, disintegrata e insensata, e tuttavia ancora in cerca di espressione, di un possibile confronto con tutto e tutti, di una criticamente vigile ed esaltante riappropriazione di valori che sia nel contempo compartecipazione di essi.

Un concorso come questo continua a farci riflettere su modi e possibilità di “fare pace” con noi stessi e con il mondo, secondo quelle fondanti esigenze di interrogazione e condivisione, dai traguardi perennemente instabili e rilanciati, che sono alla base dell’atto inquieto e desiderante di chi, scrivendo, sente il bisogno di raccontare, di dirsi agli altri, di infrangere i muri di silenzio, solitudine, abitudine e indifferenza che sempre più insidiosamente ci minacciano, rischiando di sopraffarci.

Al premio per l’inedito (la pubblicazione dei “Racconti per la pace”, consentita grazie al consueto sostegno della Regione Toscana) fa riscontro quello per l’edito, attribuito quest’anno al giornalista fiorentino Jacopo Storni per il libro “Siamo tutti terroristi” pubblicato da Castelvecchi.

Un premio speciale, infine, a Domenico Lucano, Sindaco di Riace, operatore di pace internazionalmente noto, attualmente al centro delle cronache fra consensi e dissensi per le sue coraggiose politiche sociali di carattere solidale svolte nell’ambito dell’accoglienza agli immigrati e della loro integrazione sociale. Domenico Lucano, cui all’unanimità la giuria ha ritenuto doveroso attribuire il  riconoscimento “Una vita per la pace” 2018,  ha assicurato la sua presenza alla serata.

La cerimonia sarà accompagnata da musica eseguita dal vivo dagli allievi di Andrea Portera della Scuola di Musica di Fiesole e dalle letture di Maurizio Novigno e si concluderà con un brindisi offerto da Unicoop Firenze.

Marco Marchi

Da Né acqua, né luna

Il giorno dopo, a scuola, Stephen fu preso come al solito di mira dai soliti bulletti della classe, invidiosi della sua brillante carriera scolastica, ma anche del suo aspetto per metà orientale: non dimentichiamo che aveva pur sempre ereditato i capelli biondo oro dal papà, ma dalla mamma aveva ricevuto come dono due bellissimi occhi a mandorla scuri. Così veniva chiamato muso giallo saputello, e lui non ci vedeva più dalla rabbia.
Il gruppetto di ragazzi lo spinse a terra regalandogli i soliti calci di benvenuto in classe, finché arrivò il professore e la cosa finì lì. Ma non finì nella mente di Steve, che non sopportava più quegli attacchi crudeli e gratuiti da mocciosi antipatici solo perché erano più grossi di lui.
Quel pomeriggio fece in fretta i compiti e disse alla mamma che avrebbe fatto il suo solito giro in bici. Andò invece dal suo Baba.
“Baba, Baba, aiutami, non sopporto e non voglio più essere picchiato da quei mostri non ho mai detto nulla alla mamma perché non voglio sembrare una femminuccia, ma ora hanno oltrepassato il limite!”
“Oh bambino mio! Cerca di calmarti, vedrai che quando sarai più padrone di te stesso, loro vedranno qualcosa di diverso in te, e ti temeranno. Ricordati sempre queste mie parole: qualunque cosa accada, sappi che influirà solo sulla tua mente e sul tuo corpo, non su di te. Vivi distaccato dal corpo che nasce e muore, e tutti i problemi saranno risolti. Infatti essi esistono perché tu credi di essere nato e di dover morire. Disilluditi e sii libero.
Ricorda anche che il mondo non è che uno spettacolo, scintillante, ma vuoto.
È, eppure non è.
Esiste finché voglio vederlo e prendervi parte. Quando smetto di occuparmene, si dissolve.
Ascolta quello che diceve Nisargadatta, grande Maestro Spirituale indiano:
“Noi vediamo il pulviscolo di polvere che danza nell’aria di una stanza buia grazie al raggio di sole che lo illumina.
Noi siamo quella Luce, mentre il pulviscolo è il nostro corpo e le cose del mondo.
La Luce esisterà sempre, anche senza il pulviscolo, ma quest’ultimo è visibile solo per mezzo della Luce.”
“Medita su queste parole, mio piccolo amico, e alla fine imparerai a dare il giusto peso alle cose del mondo.
Non dimenticarti mai di coltivare il tuo animo, la Luce, perché sarà l’unica forza che avrai, l’unica verità che è in te.”
“Mi piacciono, sai, i tuoi discorsi, anche se non li capisco del tutto. Ma sento che mi fanno bene. In più sto tanto bene in tua compagnia. Posso venire a vivere qui con te?”

“Oh Steve, questo no, per un sacco di motivi: devi stare con la tua mamma, che ti adora, altrimenti che farà senza di te? Inoltre devi andare a scuola per costruirti una vita. Io ti sarò sempre amico e potrai venirmi a trovare tutte le volte che vorrai.”
“Ti racconterò una storia zen, la storia della monaca Chiyono, e poi filerai dritto a casa, intesi?”
“Va bene, Baba, potrò sempre venire qui, vero?”
“Quando la monaca Chiyono studiava lo Zen, per molto tempo non riuscì a raggiungere i frutti della meditazione. Finalmente, in una notte di luna, stava portando dell’acqua con un vecchio secchio tenuto insieme con una cordicella di bambù.
A un certo punto la cordicella di bambù si ruppe e il fondo del secchio cadde, e in quel momento Chiyono fu liberata!
Per commemorare l’evento scrisse una poesia:
“In questo modo e in quello cercai di salvare il vecchio secchio
poiché la corda di bambù era logora e stava per rompersi.
E poi, tutto a un tratto il fondo si staccò e cadde.
Niente più acqua nel secchio.
Niente più luna nell’acqua.”
Quali sono i frutti della meditazione che la monaca Chiyono desidera raggiungere?

La ricerca di se stessi e della pace interiore che tutti abbiamo dietro la mente agitata e condizionata.
Cosa rappresenta il vecchio secchio?
La nostra vecchia vita che teniamo insieme con logore cordicelle, le cordicelle dei nostri vecchi schemi e attaccamenti, e dentro il secchio il nostro logoro ego, pallido riflesso della nostra vera vita, del nostro vero Essere.
Mettiamo pezze da tutte le parti pur di non cambiare.
Ma arriva il momento in cui un accadimento più forte, più importante, scuote la nostra vita, e i vecchi pensieri vanno in crisi, non riescono più a far fronte alla vita. Arriva il momento dove qualcosa d’inspiegabile ci spinge a cercare altro in altro.
“In un modo e nell’altro
ho cercato di sorreggere il secchio
sperando che il debole bambù non si sarebbe mai spezzato.
Improvvisamente il sostegno si è rotto.
Non più acqua,
non più luna nell’acqua
IL VUOTO NELLE MIE MANI.”
Se riesci a portare il vuoto tra le tue mani, allora ogni cosa diventa possibile.
Non portarti dietro i tuoi pensieri, la tua conoscenza, non portarti dietro niente di ciò che riempie il secchio e finisce per diventare solo acqua, perché altrimenti tu guarderai sempre e solo il riflesso, e nient’altro.
Nella ricchezza, nei beni materiali, nella casa, nell’automobile o nel tuo prestigio tu scorgerai soltanto il riflesso della Luna piena.
E LA LUNA PIENA È LÌ, IN CIELO, CHE TI STA ASPETTANDO DA SEMPRE.
Lascia che il sostegno si rompa! Non cercare in un modo o nell’altro di proteggere il vecchio secchio!
Non serve a niente. Non proteggere te stesso, non ne vale la pena!
Lascia cadere il secchio, lascia che l’acqua fugga via, lascia che la luna nell’acqua scompaia, perché solo allora potrai sollevare i tuoi occhi verso la vera Luna nel cielo.
È sempre stata lì, nel cielo stellato, ma è necessario il vuoto tra la mani per vederla.
Diventa sempre più vuoto, pensa a te stesso come a un essere sempre più vuoto, comportati come se fossi sempre più vuoto. E un po’ alla volta, piano piano, ne avvertirai il sapore. E una volta che hai assaporato questa fragranza, ti accorgerai di quanto sia stupenda…
Una volta che hai conosciuto il sapore del vuoto, hai conosciuto il vero significato della vita.
Scegli il vuoto, lascia cadere il secchio del tuo ego e della tua mente e dei tuoi pensieri…
NON PIÙ ACQUA,
NON PIÙ LUNA.
IL VUOTO NELLE MANI.
Ora vai dalla mamma, Steve, e raccontale quanto ti ho detto. Lei capirà. Lei saprà.
E un giorno lo capirai anche tu.
E un giorno, assaporeremo tutti questa medesima fragranza”.

(da “Nè acqua, nè luna” di Laura De Menech, in “Racconti per la pace” 2015)

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