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Firenze, 2 febbraio 2023 – Ricordando che il 2 febbraio 1885 nasceva a Firenze Aldo Palazzeschi.

Già il 1905 segna l’atto di nascita di Palazzeschi poeta nei termini culturalizzati che immetteranno anche la biografia del giovane in contesti variati di contatti e frequentazioni. Esce infatti in quell’anno il suo primo libro di versi, I cavalli bianchi, raccolta di stampo simbolista e “poesia malata (…) da manicomio addirittura” (così l’amico Marino Moretti nel recensirla) i cui referenti culturali d’appoggio sono ravvisabili in Baudelaire e Mallarmé, Wilde, Maeterlinck e Jammes.

Su base crepuscolare, grazie ai Cavalli bianchi, si instaura in parallelo l’amicizia con Sergio Corazzini, l’estenuato e oltranzistico cantore della rinuncia vitale. Su base analoga, a suscitare l’interesse di poeti di sensibilità malinconica ma in parte almeno contraddetta come Govoni e Gozzano sarà la seconda raccolta, Lanterna, che Palazzeschi stampa a proprie spese nel 1907, dichiarandone nuovamente editore il proprio gatto, Cesare Blanc.

Spetterà infine a Poemi, la terza raccolta apparsa nel 1909 da cui la suggestiva poesia Lo sconosciuto è tratta, sollecitare l’entusiasmo ottimistico, robustamente attivistico, rivoluzionario e fagocitante di Filippo Tommaso Marinetti, da poco fondatore del movimento futurista. Del maggio 1909 è la lettera con la quale Marinetti risponde da Milano all’invio del libro, esprimendo giudizi  generici ma indubbiamente lusinghieri (“Vi è – nel vostro volume – come già nei Cavalli bianchi, un odio formidabile per tutti i sentieri battuti, e uno sforzo, talvolta riuscitissimo, per rivelare in un modo assolutamente nuovo un’anima indubbiamente nuova“) e invitando formalmente lo scrittore fiorentino, secondo una prassi inclusiva a lui familiare, a collaborare con i futuristi al “grande rovesciamento della vecchia imbecillità italiana”. Palazzeschi si aggrega, pronto a fornire il suo riconoscibilissimo contributo personale all’impresa.

E’, quello con Marinetti, un incontro umanamente importantissimo per Aldo Palazzeschi: un incontro professionalmente denso di implicazioni e di possibilità pratiche di affermazione, se i versi dell’Incendiario e il suo romanzo maggiore, Il Codice di Perelà, appariranno di lì a poco (rispettivamente nel 1910 e nel 1911) nelle Edizioni futuriste di “Poesia”. Ma non solo questo. La generosa e tutto sommato semplificatoria disponibilità di Marinetti ad accogliere, ad inglobare un po’ tutto all’insegna della distruzione del vecchio e della proposizione del nuovo, consentirà all’antiborghese e libertario Palazzeschi, rotto un isolamento psicologico cui già l’esercizio scrittorio aveva a suo modo offerto testimonianze e fuoriuscite di riscatto, di svolgere in piena autonomia la sua partecipazione alle vicende di un movimento e di effettuare in termini presenzialistici potenziati e per così dire protetti la continuazione di un suo discorso letterario originale.

Analogamente, con la stessa libertà, Marinetti sarebbe diventato il provocatorio, paradossale e sicuro Principe Zarlino che Perelà abbraccia e ascolta tra le mura manicomiali del Codice (e magari, nella vita, persino il disponibile fiduciario – come si desume da un accenno presente in un lettera del 1911 – di confidenze circa amori particolari incontrati un po’ alla Perelà “sotto la cappa del cielo”), ma non il futuro ideologo della guerra da condividere e seguire.

Marco Marchi

Lo sconosciuto

L’hai veduto passare stasera?
L’ho visto.
Lo vedesti ieri sera?
Lo vidi, lo vedo ogni sera.
Ti guarda?
Non guarda da lato
soltanto egli guarda laggiù,
laggiù dove il cielo incomincia
e finisce la terra, laggiù
nella riga di luce
che lascia il tramonto.
E dopo il tramonto egli passa.
Solo?
Solo.
Vestito?
Di nero è sempre vestito di nero.
Ma dove si sosta?
A quale capanna?
A quale palazzo?

Aldo Palazzeschi

(da Poemi, 1909)

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