Antonietta Puri
Sono così tante le suggestioni che s’impongono alla coscienza nel leggere Montale e nel riflettere sulla sua stupefacente produzione lirica, che mi limiterò ad esprimere, come semplice fruitrice di essa, senza nessuna pretesa esegetica, alcuni miei convincimenti, alcune idee ed emozioni che mi suscitano i versi di Montale in generale e in particolare questa poesia. A me piace tanto il Montale di “Ossi di seppia”, perché lo sento vicino alla mia sensibilità, al mio modo di essere e di sentire; comprendo le sue contraddizioni, la sua attitudine a cogliere il lato oscuro delle cose, il suo scetticismo e anche quella sua imperturbabilità di osservatore e di contemplatore della realtà; comprendo tutto questo alla luce di una mancanza di fede cui affidarsi: “Per me / l’ago della bilancia / sei sempre tu./ M’hanno chiesto chi sei. / Se lo sapessi / lo direi a gran voce. / E sarei chiuso tra quelle sbarre donde non s’esce più”. In particolare però, adoro il poeta metafisico che è Montale, quello che cerca di penetrare la verità universale nelle cose, nella vita e nei silenzi; mi immergo nei suoi paesaggi reali e simbolici, nella loro totale astrazione dal tempo, nell’assolutezza delle sue visioni. Ammiro la schiettezza del poeta filosofo che sconfessa i “poeti laureati” che si cimentano e si pavoneggiano nei loro orpelli culturali alla ricerca del vacuo elogio, mentre egli – pur nell’ansia e nel tormento – ama tutto ciò che è semplice natura acquietante, trovando la vera ricchezza da poveri nell’odore della terra e nell’effluvio dei fiori del limone, sempre a un passo dal carpire il mistero della vita, investigando su qualche errore della natura, individuando un pertugio, “l’anello che non tiene”, che sveli l’essenza della vita terrena: momento in cui anche gli esseri umani apparirebbero a un tratto come inquiete divinità… Attimi… Poi il ritorno al tedio usato e alla malinconia della cupa stagione, ma basta intravvedere in un cortile la luce gialla dei limoni che pendono come lampade dalla loro pianta, per sperimentare fugacemente la rarità dell’estasi, la percezione rapida e inafferrabile della bellezza e della pienezza.
Giulia Bagnoli
Il poeta, descrivendo un giardino di limoni, esprime la propria predilezione per le cose semplici, quotidiane, e il testo si configura come una vera dichiarazione di poetica. I limoni appaiono, gialli come il sole, come un’epifania salvifica, e donano all’uomo un piccolo barlume di felicità tra i tormenti del mondo; una felicità che dura soltanto pochi istanti e che il poeta rappresenta con un “malchiuso portone”. Il colore del sole si oppone all’inverno e al tedio ed è una sorta di miracolo nella triste realtà della vita.
Antonella Bottari
Dopo la lectio del professor Marchi ogni parola sembra abusata o inutile; dirò di essa, che essa rappresentò lo spartiacque tra il versificare ridondante dannunziano e l’ essenzialità ungarettiana, la perfetta sintesi; ma di questo sappiamo grazie al professore. Non resta altro che prendere atto della grandezza dello scrittore ligure e aggiungere: “Ma continuano a vivere i tuoi versi: su di essi Ade,
il ladrone spietato, non potrà allungare la mano.” (da Ad Eraclito–Poesia di Callimaco – vv. 5 e 6. Traduzione di Giuseppe Zanetto).
trista51
Montale è sempre Montale, anche a rileggerlo in un testo notissimo come questo. Interessantissima, tra i video allegati, l’intervista al poeta del 1966 e la lettura di un altro splendido testo come “Casa sul mare” da parte di Vittorio Gassman.
Maria Grazia Ferraris
L’ampia dotta e storicamente importante introduzione del prof. Marchi chiarisce il mondo culturale in cui Montale si muove ed invita ad approfondirlo storicamente ed esteticamente nel suo rapporto dialettico con la tradizione. Per quel che riguarda la lirica proposta-I limoni- sappiamo che ha un’importanza particolare nell’esordio poetico dell’Autore. È una poesia complessa, originale. È infatti una dichiarazione di poetica: “All’eloquenza della nostra vecchia lingua aulica volevo torcere il collo, magari a rischio di una controeloquenza” scriverà Montale a commento. Il poeta intende fare una poesia quotidiana, semplice, lontana dagli artifici della poesia “laureata”, una “poesia d’occasione” in cui un’immagine, un ricordo – l’odore dei limoni, il giallo, le trombe d’oro della solarità- mette in moto la composizione dei versi in una catena di immagini e di relazioni nuove. Ma pur esprimendosi in versi liberi, Montale non rinuncia alla rima, alle trame dei suoni doppi o sibilanti e di una struttura (disarticolata) che non stravolge la frase, ma per allusioni mette a nudo la condizione esistenziale dell’uomo.
Ilaria77
Che belle le parole di Montale, semplici e piane, piene di luce; così come i limoni, gialli e puri, freschi d’estate e odorosi di vita si insinuano nelle pieghe di esistenze misere, di cuori inquieti.
Lo stesso poeta trova nella loro visione un ristoro quasi infantile al tormento del proprio esistere, e a noi sembra di vederli, i limoni, giocare a nascondino tra gli alberi, tra le strade di campagna e i fossi d’acqua verdastra, tra gli schizzi di piedi di bambini; così come un barlume di gioia, a volte, fa capolino tra i giorni grigi di una vita senza gioia.
Chiara Scidone
A Montale piacciono le cose semplici, come i limoni. Egli non si unisce ai poeti laureati, le persone semplici possono più facilmente apprezzare le cose belle e godersi la vita in modo umile.
L’odore dei limoni per montale è un’onda di freschezza in mezzo al mal di vivere.
Duccio Mugnai
La maglia rotta della rete, l’anello che non tiene; son qualcosa che Montale e la sua poesia non raggiungeranno mai. Tuttavia, attraverso questa inesausta ricerca, dove l’autore si immerge “[…] in questi silenzi in cui le cose / s’abbandonano e sembrano vicine / a tradire il loro ultimo segreto”, appaiono lampi di luce, effimeri, ma trasognati di speranza, come il giallo dei limoni o del “girasole”, fulminei passaggi di tempo e di colori nell’aridità della vita, che si smaterializza solo per un istante, come il tuffo di Esterina.
Damiano Malabaila
In questo capolavoro non riesco a non vedere un inizio, se non una rivoluzione… Ormai, oltre all’inesauribile valore del testo in sé, funziona nella nostra mente come innesco di tutta una poetica che sembra, ancora oggi, completamente necessaria. Mi dissi: “I limoni”! – e il nome agì…
Matteo Mazzone
La poesia di Montale si caratterizza, da un lato, per il rifiuto di una letteratura aulica ed estetizzante e, dall’altro, per una ricerca di una rinnovata voce, pur sempre tradizionale, un abbassamento tonale del lirico, che si fa narrativo specchio sociale, fatto attuale tradotto in figure e in simboli, dove anche il linguaggio sublime – che non scompare del tutto nella frequente presenza di preziosismi lessicali – subisce uno slittamento diafasico, dal formale tout court all’insediamento di un informale bilanciato, tenero. Ora il filosofare montaliano, il suo pensiero poetante trovano coraggio a esporsi nel silenzio assordante della ricerca, dell’indeterminatezza umana ed esistenziale: ora è bello lo scoprire una verità causale, demiurgica e confortante; un’epifania (il)logica, razionalmente concepibile, che ci aspetta tutti in fondo a un varco. Il varco, appunto: l’unico “attraversamento” creatosi tramite una particolare congiunzione, lo stato di grazia, rarissimamente rassicurante perché implicito, dis-illusorio, verace.
Giacomo Trinci
La musica della sintassi svolge, in questa lirica di Montale, un discorso di programma che si apre ad una interlocuzione doppia: il tono confidenziale dell’ “ascoltami” iniziale è rivolto insieme ad un lettore e, più in grande, allude ad una tradizione, ad una storia delle forme della poesia. L’intonazione prospettica del componimento sottolinea il carattere fortemente dialettico del ragionare in versi di Montale:il carattere, insieme, di continuità verso la tradizione, rispetto alla grande rottura ungarettiana andata in scena con l”Allegria di naufragi”, e insieme l’abbassamento tonale del linguaggio, la modulazione di un tono nuovo, possibilistico-esistenziale, che costituirà una delle linee portanti, egemoniche del Novecento posteriore a Montale. La rottura è frutto di questa ripresa-superamento della tradizione che, negli stessi anni, un grande poeta come Eliot definirà nel saggio “Stile e tradizione”. L’emozione che ci punge rileggendo questo componimento è data proprio dalla sua grande distanza rispetto al nostro tempo: frantumato che frantuma linguaggi forme, trita sintagmi, spezzetta ragioni afasiche… qui, ancora, l’alto ragionare da ginestra leopardiana affronta il negativo ed, ancora, lo contiene caparbiamente.
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