VEDI I VIDEO La peste d’Atene. Versi dal “De rerum natura” di Lucrezio (libro VI, vv. 1199-1218) letti, tradotti e commentati, con testo latino e traduzionewww.youtube.com/watch?v=mYufflfgrZQ , L'”Inno a Venere” in italiano (da 4:36) , L'”Inno a Venere” in lingua originale ed altri versi

Firenze, 16 ottobre 2020 – Ricordando che ieri ricorreva l’anniversario della morte di Lucrezio (Roma, 15 ottobre 50 a. C.).

Quorum siquis, ut est, vitarat funera leti,
ulceribus taetris et nigra proluvie alvi 1200
posterius tamen hunc tabes letumque manebat,
aut etiam multus capitis cum saepe dolore
corruptus sanguis expletis naribus ibat.
Huc hominis totae vires corpusque fluebat.
Profluvium porro qui taetri sanguinis acre
1205
exierat, tamen in nervos huic morbus et artus
ibat et in partis genitalis corporis ipsas.
Et graviter partim metuentes limina leti
vivebant ferro privati parte virili,
et manibus sine non nulli pedibusque manebant
1210
in vita tamen et perdebant lumina partim.
Usque adeo mortis metus iis incesserat acer.
Atque etiam quosdam cepere oblivia rerum
cunctarum, neque se possent cognoscere ut ipsi.
Multaque humi cum inhumata iacerent corpora supra
1215
corporibus, tamen alituum genus atque ferarum
aut procul absiliebat, ut acrem exiret odorem,
aut, ubi gustarat, languebat morte propinqua.

E se qualcuno di loro, come accade, aveva evitato i funerali della morte, con orribili piaghe e uno scuro flusso del ventre 1200
lo attendevano tuttavia in seguito consunzione e morte, o anche abbondante sangue marcio usciva spesso con dolori di testa dalle narici intasate; qui confluivano tutte le forze e il corpo dell’uomo. Inoltre a colui che aveva superato il violento flusso di sangue corrotto, 1205
la malattia passava tuttavia nei nervi e nelle articolazioni e nelle stesse parti genitali del corpo. Ed in parte, temendo grandemente la soglia della morte, restavano vivi dopo essersi privati con un ferro delle parti virili, ed alcuni rimanevano tuttavia in vita senza mani e piedi, 1210
e in parte perdevano la vista. Sino a tal punto era penetrato in costoro un tremendo timore della morte. Ed alcuni li prese anche l’oblio di ogni cosa, così da non poter riconoscere se stessi. E nonostante giacessero a terra insepolti molti corpi su corpi, 1215
tuttavia la razza degli uccelli e delle fiere o balzava via lontano, per sfuggire al lezzo ripugnante, o, quando li aveva assaggiati, languiva in una rapida morte.

Lucrezio

(da De rerum natura, libro VI)

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