Alfawebtizzazione. E ritorno alle origini. Della lingua. Ieri, in questi browser, avevamo postato l’ultimo blog sulle formidabili possibilità di rialfabetizzazione offerte dalla Rete e da tutte le sue maglie. Esempio: chi prima scriveva, semmai, solo sulla busta delle raccomandate, oggi si sbizzarrisce tra social network e compagnia. Innegabile il potenziale bacino d’espressione diretta. Che, invece, prima restava solo passiva, con la tv o la radio. Tradotto: sempre più italiani (e non) hanno la possibilità di muovere la penna, assemblando, costruendo frasi e sintassi. Un’opportunità straordinaria. Qualcuno degli amici intervenuti ha espresso un forte timore: che elogiassimo, fino allo sfrenato ottimismo, le nuove forme lessicali e persino la alfawebtizzazione dei giovani. Niente di tutto ciò: abbiamo solo sottolineato la democrazia d’espressione rappresentata da Internet. Che, specie in un paese con la fobìa della scrittura, come il nostro, ha spalancato le porte ai timidi o refrattari alla grafia. Youtube, lo stesso Skype, dettano il ritmo delle facoltà intelligenti, stimolando immagine ed espressione, scritta e orale. Come negarlo? Riguardatevi i documentari dell’Italietta anni Sessanta. Riosservate come si parlava davanti alle telecamere della Rai tv. Un italiano stentato, un balbettìo d’epressioni imbarazzate, improprie. Oggi la Rete, questo volevamo dire, ci agevola contro tutto questo. Acchiappiamo il meglio. Qualcuno ha osservato pure l’orrore del linguaggio dei telefonini. Non siamo d’accordo. L’orrore, se permettete, era ed è quello del linguaggio dei telegrammi, che pare uscito da un pianeta alieno. Altrettanto si può dire per il burocratese o il giuridico, a volte incomprensibile agli stessi Azzeccarbugli che lo parlano. La filosofia twitteriana dei caratteri contati trova un’illustre progenitrice in quella degli sms. Come scrisse un autorevole quotidiano italiano nelle sue colonne di cultura, i giovanilismi da display (“ke”, “nn”, “perké”) potrebbero pure somigliare a quelle espressioni alle radici del volgare italiano (“Sao ke kelle…”). In ogni caso, una libertà d’espressione. Una democrazia della mente. Che è sinonimo di vitalità. Comunque. Specie in un Paese di gabbie. E oggi più che mai ostentatamente parsimonioso e imbalsamato.