Crisi, crisi, ancora crisi. Ne abbiamo un po’ tutti le scatole piene di questa parolina magica. I gufi dei tiggì ce lo ricordano senza sosta. Appollaiati sui loro costosi scranni. E, mentre c’è la crisi, vanno a ruba costosi attrezzi tecnologici, Suv e diavolerie di ogni genere. Ma, soprattutto, vanno a ruba i sensi di sacrificio che non riusciamo a metterci bene in testa. Per combattere questo stato di cose, innegabilmente serio, non dobbiamo fare la guerra con le cerbottane, ma con i carri armati della volontà. Che significa: impegno, lavoro e ottimismo. Questa può essere la nostra mano invisibile per tentare di rimettere in sesto un momento un po’ così.

I piagnistei mediatici servono solo a infondere terrori e angosce, a rispolverare paure ataviche di carestie e fame, quasi come se si fosse ripiombati nelle sacche del Medioevo. C’è chi, ho sentito, ha paura persino di andare a “spendere” al supermercato per comprare un cartoccio di mortadella perché se poi lo Stato va in rovina si finisce con le pezze al sedere. E c’è chi, da mane a sera, pensa a quando perderà il lavoro e finirà a razzolare nelle discariche che diventeranno come quelle di Buenos Aires. Merito di qualche incompetente che a tambur battente ossessiona le persone prendendole al video o alla radio. Io so solo questo: che a fronte di decine e decine di offerte di lavoro, non siamo capaci di accettarne una. Se ci scappa la poltrona da sotto, bisogna essere capaci d’adattarsi.

C’è la crisi? E allora non stiamo con le mani in mano. Fior di giornalisti e scrittori, anche recentemente, hanno fatto l’esperienza della catena di montaggio. D’altra parte, se ti manca la base per vivere, ti adatti. Senza arrivare fino al fondo del barile, bisognerebbe solo metterci un ‘ più di sorriso in questa tremenda vita che dipingono. L’altro giorno mi è capitato di passare accanto a un crocchio di badanti rumene: non si lamentavano, gioivano per avere trovato un lavoro, chi da una vecchietta, chi in una casa di riposo. Non parlavano di crisi. Ma di come lavorare.